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Stanco di combattere con le banche il nostro contadino imprenditore
di Pachino, vicino Ragusa, contempla i pomodori della sua serra chiedendosi se
non valga la pena, ormai, di mollare tutto e cercarsi un lavoro da agricoltore
ad ore ritornando ad essere un salariato. La prossima settimana, i pomodori che gli avidi acquirenti gli hanno, letteralmente, strappato di mano a 15 centesimi al chilo saranno in vendita a Trento, Milano e Londra a 5 euro al chilogrammo, 33 volte di più di quello che gli hanno pagato. Che tradotto, per 1 tonnellata di pomodori equivale ad un profitto di 4850 euro. |
E a chi si chiede con lui come sia possibile che in piena Unione Europea, esista
ancora un simile sfruttamento del lavoro nell’anno 2007, è sufficiente
rispondere: per la nostra (meridionale) inettitudine al commercio.
E siccome il commercio è fatto di incontri e di parole fra venditori ed acquirenti, non meraviglia affatto che questa inettitudine sia così radicata in Sicilia, dove il valore intrinseco della comunicazione fra le persone viene stigmatizzato da un’intera cultura. Non è forse migliore, in Sicilia, la parola non detta? E così, continuando a non dire di sé, poco più a ovest, a Sambuca di Sicilia dove sono ospite di un gentile imprenditore agrituristico, vedo i proprietari del vicino vigneto sorridere: stanno per avviare la raccolta delle uve che diventeranno un ottimo, solido vino siciliano. I nostri due imprenditori, però, sono figli di una mamma tedesca. E fluenti nella lingua di Goethe a settembre si recheranno in Germania per vendere lì, come fanno da anni, l’intera produzione (25mila bottiglie). Il mio ospite si appresta invece a vendere il proprio vigneto: suo figlio non vuole continuare a curare le viti e si è trovato un anonimo posto da funzionario al Ministero dell’agricoltura. Da anni infatti il nostro ospite si ritrova costretto a vendere l’uva a un prezzo ridicolo alla gigantesca impresa vitivinicola settentrionale installatasi in zona; che come avviene con l’altro produttore del pomodoro ragusano, ha messo in concorrenza i piccoli produttori locali fra di loro – nouvelle guerra dei poveri – per strappare il bene al prezzo minimo. Lo stesso succede con il grano; con le straordinarie olive da tavola di Castelvetrano; con le mandorle dell’agrigentino… e con praticamente l’intera messe dei beni che la divina terra di Sicilia è capace di produrre ogni anno. Ai miei corsi di management, dico sempre che la prova più grande del clamoroso fallimento dell’Università in Sicilia – 3 sedi e una quarta appena nata ad Enna – sta nel non essere nemmeno riuscita ad insegnare ai figli dei possidenti siciliani quei minimi elementi di marketing e comunicazione che gli consentissero di non dover perdere o abbandonare le terre dei loro genitori. Ed effettivamente, è tutta in questa incapacità di relazionarsi, incontrarsi e vendere l’origine della crisi dell’agricoltura siciliana. Saggio, in Campania ricorda Ciro Paone ai suoi interlocutori come lui sia «sarto e commerciante». Oggi i suoi splendidi vestiti sono venduti nelle capitali mondiali; e i sarti che lavorano con lui beneficiano di un’impresa che è modello internazionale per le relazioni industriali nella stessa terra descritta da Saviano nel suo sconsolante Gomorra. |
Con internet e la globalizzazione, i nostri agricoltori hanno l’opportunità – qualora riescano a dotarsi delle capacità – di conquistare i mercati mondiali. E sta a noi accademici riuscire ad insegnare ai loro figli i fondamenti -- e la pratica -- del marketing moderno. Perché l’agricoltura è, con la ricerca e il turismo, uno dei 3 assi del futuro sviluppo siciliano. Ed è giunto il tempo di smettere di riscattarci dalla marginalità dotandoci di competenze nuove apprese con lo studio e il confronto internazionale. .
Il corso L'impresa sostenibile. Questo articolo di Mario Pagliaro è stato pubblicato il 29 agosto 2007 da Il Quotidiano di Sicilia.
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