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Mario Pagliaro's Newsletter, 8 agosto, 2007:
Sommario:
E' sempre più urgente pensare al futuro dell’Italia. Ed è necessario valorizzare tre risorse finora trascurate e di cruciale importanza: la creatività, il management e i giovani.
Le cronache italiane degli
ultimi anni raccontano un Paese senza regole. Furbettopoli, Calciopoli,
Vallettopoli sono solo alcuni casi di malcostume diffuso. Ma come si è arrivati
a questo punto?
Bisognerebbe rivolgersi al n° 7 di Craven Road a Londra, dove risiede Dylan Dog, l’Indagatore dell’Incubo creato da Tiziano Sclavi nel 1986. L’acuto Dylan non avrebbe difficoltà a trovare i primi indizi: mancanza di etica, connivenze compromettenti, scarsa visione strategica del futuro. |
La politica ha grandi responsabilità, come testimoniano lucidamente Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo nel loro libro-denuncia La Casta. L’irritazione verso la classe politica è palpabile nel Paese. Oltre alla scandalosa legge elettorale definita una “porcata” perfino da chi l’ha elaborata, ovvero dalla passata maggioranza di centro-destra, ciò che risulta inaccettabile è la serie di privilegi di cui gode la classe politica italiana e l’ indecoroso spettacolo che essa offre quotidianamente al Paese. L’economia italiana sta attraversando la sua fase più difficile dalla fine della II Guerra Mondiale e il potere d’acquisto delle famiglie italiane è progressivamente diminuito negli ultimi anni, al punto che il ceto medio, traino dei consumi nella seconda metà del Novecento, si trova oggi in difficoltà. Proseguiamo con le indagini dell’Indagatore dell’Incubo. Emerge un sistema dei media fortemente intrecciato con la classe politica: il capo dell’attuale opposizione detiene il controllo della più importante azienda privata di comunicazione del Paese; e la Rai, la più grande industria culturale nazionale, viene gestita con criteri di spartizione fra i partiti. Evasione fiscale, senso civico troppo spesso latitante e corruzione sono altri mali che penalizzano le risorse nazionali. A dipingere un quadro a tinte ancor più fosche contribuisce il sistema di corporazioni e rendite che ingessa il Paese da molti anni. C’è bisogno dell’ispettore Bloch. I richiami dell’Unione Europea ad un maggior rigore nei conti pubblici sono il campanello d’allarme necessario se si vuole restare nel circolo europeo. E sull’economia si gioca una partita decisiva. Il presidente francese Sarkozy sembra aver compreso che i fatti economici stanno diventando preponderanti nel dibattito pubblico. In Italia, invece, le diatribe ideologiche occupano ancora molto spazio nella vicenda nazionale. E arriviamo ad un’altra questione: l’anzianità della classe dirigente italiana, che diventa un potente freno nel momento in cui ostacola il cambiamento in nome di ideologie che la Storia ha ormai giudicato. |
Senza dimenticare i cambiamenti della società italiana: l’immigrazione è un fenomeno complesso di fronte al quale le reazioni sono contrastanti e lo stesso concetto di famiglia, inteso in senso cattolico-borghese, è profondamente mutato. In un tempo in cui le ideologie politiche mostrano meno certezze di un tempo, sia la dimensione religiosa sia la dimensione comunitaria hanno acquisito una valenza diversa rispetto al passato.
Di fronte ad un tale scenario, ci vorrebbe una battuta fulminante di Groucho. E gli italiani non mancano di senso dell’umorismo neanche nei momenti più difficili. Fa parte di quel non prendersi troppo sul serio e di quell’animo da sognatori che, in fondo, ci caratterizza.
Ma cosa si può fare per riemergere da una situazione come questa?
Si può e si deve investire sulle risorse finora trascurate: la creatività, il management e i giovani.
Le società occidentali si stanno avviando a diventare società post-industriali: società in cui la produzione e il consumo di beni e servizi immateriali ad alto valore simbolico saranno attività centrali per l’economia e per la vita delle persone. E la rete internet, con le sue logiche collaborative fra utenti, sarà l’infrastruttura tecnologica su cui correrà la società della conoscenza.
Francesco Carlà, studioso di tecnologie digitali e pioniere della democratizzazione della finanza in Italia, ha individuato otto ingredienti fondamentali per avere successo nel mondo digitale:
Purtroppo, in Italia, mancano molti dei punti evidenziati. E, purtroppo, non è un caso. Senza considerare l’insorgenza dei nuovi regimi espressivi, veicolati dalle tecnologie digitali, messa in luce già a metà degli anni Novanta da attenti osservatori dei mutamenti sociali come Alberto Abruzzese e Derrick de Kerckhove.
L’Italia fatica a pensarsi e ad accettarsi come Paese post-industriale perché non riesce ad elaborare una visione condivisa e a lungo termine del proprio futuro. Un esempio per tutti: la “battaglia” sulle pensioni.
Ne sarebbe interessato anche l’ispettore Bloch.
La riflessione sul lungo termine è cruciale: entrano in gioco la creatività, il management e i giovani.
La creatività è definibile come la sintesi di nuovo ed utile. E nel vissuto degli italiani, tale concetto si declina in forme diverse:
La Storia mostra come questa dote non sia mai mancata in Italia: ne danno prova Andrea Granelli e Luca De Biase, nel loro Inventori d'Italia. Dall'eredità del passato la chiave per l'innovazione, spiegando come l’Italia non sia mai stata veramente fuori dai giochi dell’innovazione. La peculiarità italiana è dovuta alla singolarità dei processi creativi ed innovativi e alla scarsa capacità di fare sistema. Ma i tempi sono a favore, in quanto la tecnologia digitale facilita la possibilità di integrare i sistemi e le competenze.
E per fare sistema, è
necessario anche un buon management. In questi anni abbiamo assistito a troppi
casi di managers che non avevano certo a cuore il destino dell’azienda e degli
stakeholders. Le vicende, fra le altre, di Parmalat, Cirio, Banca 121, Alitalia,
Fiat fanno emergere storie di cattivo management. Oltre alle relazioni
pericolose tra imprese, banche e classe politica. In questi giorni, assistiamo
al rilancio della Fiat e all’agonia aziendale dell’Alitalia. Chissà cosa direbbe
Jack Welch,
storico presidente e Ceo di General Electric e fautore della strategia basata
sull’importanza delle persone, del lavoro di squadra e dei risultati…
Queste considerazioni devono agganciarsi ad un investimento massiccio sui giovani. Giovani che sono un’identità sfuggente – e non vanno dimenticate le condivisibili riflessioni di Beppe Severgnini e Luca De Biase sulle oggettive difficoltà per chi si affaccia oggi al mondo del lavoro. Rupert Murdoch utilizza la distinzione fra immigrati digitali, ovvero coloro che per ragioni di età hanno vissuto il passaggio dalle tecnologie analogiche a quelle digitali, e nativi digitali, ovvero coloro che sono nati e cresciuti con le tecnologie digitali. E’ una distinzione importante: i giovani di oggi vivono in una società liquida, per dirla con Zygmunt Bauman, al contrario dei loro genitori, che hanno vissuto la fase della modernità industriale di massa.
E in Italia, l’atteggiamento nei confronti dei giovani ha assunto molto spesso i tratti del paternalismo fine a sé stesso, con politiche assistenzialiste che non colgono la complessità del mondo giovanile. Va detto che qualche tentativo di affrontare la questione è stato posto in essere dall’attuale Governo, che però si dibatte fra mille contraddizioni dovute all’eterogeneità della coalizione.
Diventa esiziale, in ogni caso, l’investimento sulle istituzioni della ricerca e della formazione. Senza ricerca e formazione di qualità, non è possibile garantire il ricambio generazionale di cui il Paese ha urgente bisogno.
L’indagine di Dylan Dog
inizia a farsi più chiara.
Oramai, in una società globale in cui le
persone vivono un processo di estetizzazione della propria vita, c’è un
continuum dove quotidianità, merci, bellezza, immagini, idee, ambiente,
spazio reale e virtuale si fondono e si con-fondono. In tal senso, San Paolo del
Brasile sta suscitando attenzione da più parti per il suo mix di culture,
convivialità e creatività. In Italia, un ruolo simile può essere assunto da
Roma, punto di incontro fra le culture del Mediterraneo e quelle del Nord
Europa.
La relazione tra imprese e consumatori deve seguire nuovi percorsi: come l’arte è sonda del nuovo, così le imprese devono recuperare lo spirito delle avanguardie artistiche del primo Novecento, cogliendo prontamente i segnali provenienti dalla strada, cioè dalla vita quotidiana. Secondo Francesco Morace del Future Concept Lab “sarà fondamentale la capacità culturale del consum-autore che, attraverso il consumo, si pone al centro del processo di potenziamento della propria creatività espressiva”. Cresce, dunque, il desiderio di elaborare soluzioni originali a partire dallo standard. Il pubblico attivo, inoltre, diventa fondamentale anche nella comprensione delle audiences mediali; tema approfondito, in Italia, da Michele Sorice. E’ innegabile, negli anni Duemila, lo slittamento del pubblico televisivo generalista verso altri consumi culturali: internet, radio ed eventi dal vivo in particolar modo. Sebbene i recenti successi di Sky testimonino che un’offerta di qualità risulta comunque premiante: la crisi di audience della televisione generalista ha molteplici cause, fra cui anche lo scarso investimento in qualità e creatività.
Groucho! La pistola!
Eppure l’Italia dispone di una grande risorsa: il suo territorio. I beni culturali e il turismo costituiscono un patrimonio di enorme valore che deve essere saggiamente coordinato. Saper progettare l’esperienza culturale diventa una tappa fondamentale nel processo di rilancio del Paese: il design e l’estetica assumono un ruolo fondamentale nella costruzione di una performance turistica e culturale di rilievo.
L’altro motore di sviluppo è costituito dal sistema di PMI che ragionano con logiche globali e crescono al di là delle turbolenze politiche. I casi sono più di uno: dai siciliani Planeta, che esportano vino in tutto il mondo, ai marchigiani Sorbatti, specializzati nella produzione e commercializzazione dei cappelli, dalla sempre marchigiana Biesse, leader nella produzione di macchinari per la lavorazione del legno, alla friulana Danieli, che ha saputo coniugare acciaio e tecnologie d’avanguardia. E l’elenco potrebbe continuare. Come la retorica del declino può essere sconfitta, così la competitività internazionale può e deve ritornare ai livelli di un Paese che sa stare al mondo. La globalizzazione non è una condanna ma un’opportunità da cogliere con intelligenza.
La strada da percorrere è ancora molto lunga ma forse l’incubo può essere superato.
Ci riusciremo? Ce lo diranno, con schiettezza, gli anni a venire.
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