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Newsletter di Mario Pagliaro, 24 maggio, 2004
Sommario:
La vicenda dell'ISO 9000 nelle aziende di tutto il mondo porta Kafka in azienda. E mostra come un approccio ingegnieristico alla qualità sia ridicolo, oltre che dannoso. Ma la qualità resta la priorità del sistema produttivo italiano.
"Vivi la qualità"Liguria. Autostrada per Ventimiglia. Entro in una delle ultime stazioni di servizio dell'americana Exxon ("Esso", in Italia) prima di raggiungere il confine. Mi accingo ad entrare nei servizi igienici e un cartello pubblicitario mi incuriosisce: "Vivi la qualità", recita, e riporta in bella mostra il certificato ISO 9002 concesso dal DNV Italia per "i servizi alle auto e alle persone" con tanto di logo del Sincert. Sfortunatamente, i servizi sono vecchi e fatiscenti e il sapone, per dire, è lo stesso -- di colore verde -- di quello utilizzato per lavare le stoviglie. |
L'esempio non è che l'ennesimo fra una miriade di casi analoghi: imprese certificate ISO 9000 dalle quali non ci sogneremmo di comperare nulla.
E d'altra parte, avendo a che fare con un'organizzazione di ingegneri (l'ISO) che aveva avuto l'ardire di definire la qualità come "l'insieme delle caratteristiche di un'entità che ne determinano la capacità di soddisfare esigenze implicite ed esplicite", è del tutto normale che i manager della stazione in questione considerino l'ISO 9000 per quello che è: un'inutile pezzo di carta buono a farsi un po' di pubblicità.
A Milano, negli stessi giorni, mi imbatto nel nuovo libro di Tito Conti "Qualità: un occasione perduta?" in cui l'ingegner Conti, già presidente dell'Aicq e autore di numerose testi tradotti in varie lingue sul quality managemet, conclude anche lui che lo standard 9001 del 2000 non porterà praticamente mai la gestione per processi in azienda. Lo stesso Conti, d'altra parte, già alla fine degli anni '80 esprimeva un giudizio molto critico sulle prima serie delle ISO 9000 e quando nel 1994 divenne presidente della European organization for quality indirizzò i suoi sforzi a modificare un corso che mirava a ridurre la qualità alle norme ISO 9000. Spiega ancora Conti: "La rivista European Quality da me fondata allora fu uno dei veicoli per contrastare i tentativi di ridurre la qualità entro schemi tanto riduttivi quanto dogmatici (non solo le norme, ma anche il BPR e le varie mode che l'una dopo l'altra si susseguivano). E lo stesso feci nel Capitolo sulla qualità nell'Europa Occidentale della 5a Edizione dello Juran's Quality Handbook, che Juran mi chiese di scrivere verso la fine degli anni '90. E la mia critica si è estesa anche alle nuove Vision". E non sbagliava. In breve tempo, infatti, le norme ISO 9000 -- nate per migliorare prima le industrie manifatturiere e poi le organizzazioni tout-court -- divennero sinonimo di burocrazia, inutilità, frustrazione e perdita di tempo e denaro. La piena realizzazione cioè -- questa volta nella vita dell'impresa -- delle idee del grande Kafka sul mondo reale funzionante al contrario: come nel peggiore dei sogni. Qualità, tempo di fare sul serioNegli stessi giorni, riuniti a Milano dalla Fondazione Accenture e dall'Università "Bocconi", imprenditori e manager parlano di fronte all'economista Mario Monti del declino italiano: un fatto confermato dal fallimento di un numero sorprendente di imprese, dallo stato di Fiat, dai casi Cirio, Parmalat e dalla quota, paurosamente decrescente, dell'export internazionale posseduto di imprese italiane (PDF, al 3,3% nel 2003). Diego Della Valle spiega come: "Il problema dell'Italia era il tappo costituito dai compagni di merende, che frenava chi aveva voglia di fare. Questo sta cambiando, dobbiamo continuare su questa strada perché c'è una classe dirigente di cinquantenni che hanno voglia di metterci la faccia e impegnarsi per il sistema Paese". |
Qualche mese prima, lo stesso patron della Tod's aveva insistito perché si conducesse una nuova attività di formazione a tappeto sulla qualità per tutti i nostri imprenditori e manager.
Non si riferiva alle amenità dell'ISO 9000; ma a una formazione, terminata la quale, si proceda di conseguenza, facendo come hanno fatto in Maserati Luca Cordero e Antonello Perricone: far saltare per aria il vecchio impianto, per costruirne uno nuovo che funzionasse a Zero Difetti, per "sfornare" una nuova macchina, la Quattroporte, che viene legittimo chiedersi perché avessero aspettato tanto per farlo.
Per realizzare su scala nazionale l'idea di Della Valle, naturalmente occorrerebbe che il Governo istituisse il nuovo Istituto italiano di management; ma in attesa che lo faccia, agli imprenditori non resta che comperare sul mercato la consulenza e la formazione vincenti per rendere snella la propria organizzazione, riqualificare profondamente il personale insegnando il modo di lavorare a flusso, e ricercare nella pratica -- e non in inutili certificati -- un miglioramento continuo, giorno dopo giorno, che retribuisca tutti: dai lavoratori ai manager.
Perché con la qualità, in Italia, è tempo di fare sul serio.
La qualità dei prodotti e dei servizi -- che è il motivo per il quale i clienti scelgono le imprese -- è determinata dalla qualità dei processi che li producono.
La qualità dei processi produttivi è determinata dalla qualità delle persone che li hanno ideati e da chi li conducono; quindi, ne consegue logicamente che la qualità dei prodotti è primariamente determinata dalla qualità delle persone.
E innanzitutto dalle persone che decidono e gestiscono i processi produttivi; cioè dal management.
E questo -- la qualità inadeguata del management italiano -- è il problema dell'Italia e del nostro sistema produttivo.
Prima del problema del credito; prima della mancanza di grandi imprese; prima delle carenze croniche di una pubblica amministrazione ottocentesca ed elefantiaca. E, ancora, prima del grave fenomeno del brain-drain verso gli USA e i Paesi più avanzati della UE che pure priva le nostre imprese e le nostre università dei giovani talenti migliori.
"Il sistema bancario italiano è inadeguato alle sfide di oggi -- parafrasa venerdì 7 maggio il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma Emmanuele Emanuele -- perché i vertici sono senza professionalità, non parlano le lingue, non viaggiano e nei loro Cda siedono i debitori".
L'esigenza di riqualificare profondamente la nostra classe imprenditoriale, di insegnargli a gestire la qualità, ad internazionalizzarsi, ad aprirsi e a comprendere l'innovazione, la tecnologia e le scienze organizzative e una gestione radicalmente nuova del personale è il compito che ci attende.
Un compito oneroso, quanto entusiasmante.
Il corso L'impresa snella e il libro di Mario Pagliaro Scenario: Qualità.
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