qualitas1998.net Quality Report Franco Tatò | | Cerca |
Lombardo di Lodi, classe 1932, Franco Tatò ha lasciato a maggio la direzione di Enel S.p.A., il colosso nazionale dell'energia elettrica da lui trasformato in una vera multiutility attiva nel settore del gas come nelle telecomunicazioni. E parlando il 29 maggio all'Assemblea degli azionisti convocata al nuovo Auditorium di Roma, spiegava i risultati del suo lavoro:
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Wind aumenterà i risultati e svilupperà profitti ed è un'occasione unica per avere in Italia un vero operatore alternativo a Telecom, perché il mercato delle tlc è roba per gente dalle spalle larghe.
Prima di giudicare l'Enel -- ha proseguito -- guardatevi in giro per l'Italia.
Grazie alle nuove attività siamo riusciti a compensare fattori avversi che valgono quanto l'intero fatturato di Edison. Fattori avversi come il mancato riconoscimento degli stranded cost, un diritto dell'Enel e dei suoi azionisti che andrebbe difeso anche seguendo le vie legali. Penso che qualcuno si sia dimenticato -- ha aggiunto -- che è in corso un processo di liberalizzazione del mercato e che l'Enel, come ex monopolista, deve per forza cedere clienti e quindi margini. E si dimentica anche che siamo obbligati a dismettere le reti metropolitane e 15 mila Mw delle Genco
Laureatosi in Filosofia al Collegio "Ghislieri" dell'Università di Pavia (lo stesso del futuro Ministro Tremonti che polo congederà da Enel) con una tesi di argomento teologico, Tatò continua gli studi in Germania vicino Monaco di Baviera, e nel 1956 entra a far parte di Olivetti, l'azienda italiana fondata dal grande Camillo che darà al Paese moltissimi grandi intellettuali e un'avveniristica Scuola di management. Vi resterà fino al 1982 diventando capo di Olivetti America prima di trasferirsi per 2 anni (fino all'84) nella "sua" Germania a ristrutturare la Mannesmann-Kienzle acquistata dall'impresa di Ivrea. Divenutone proprietario, Silvio Berlusconi lo chiama nel 1991 prima a dirigere la Arnoldo Mondadori Editore (dove Tatò era già stato amministratore delegato con De Benedetti e Formenton proprietari dal 1984 al 1986), e poi dalla fine del '93 al febbraio 1995 gli affida anche la Fininvest che Tatò come amministratore delegato risanerà profondamente riorganizzadola e portando la nuova controllata Mediaset in Borsa. Nel 1996 Ciampi come responsabile del principale azionista (il Ministero del Tesoro, tutt'oggi azionista di maggioranza con oltre il 65% del capitale) lo nomina a.d. di Enel, l'ex Ente pubblico divenuto società per azioni, che Tatò dovrà condurre alla prima offerta pubblica di vendita del 34.5% del capitale azionario e a fronteggiare la prima concorrenza dei competitors nazionali (quasi inesistente, per la verità) e internazionali: i temibili francesi di Edf (presto entrati nel capitale di Edison), e quindi a gestire le cessioni obbligate di alcune centrali e a riorganizzare l'impresa per affrontare una transizione epocale. Alla "Bocconi" di Milano durante un convegno sulla liberalizzazione dell'elettricità e del gas, spiega perché le conseguenze del passaggio delle centrali elettriche dal ciclo tradizionale a quello combinato avranno rilevanza per l'Italia e la sua politica estera:
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Chiama Cuneo per la consulenza sulla riorganizzazione di Enel; ha letto i Padri della Chiesa e Drucker e sa che il principio di responsabilità è il principio sui cui si basano le organizzazioni che funzionano. Crea quindi numerose società operative autonome per la produzione, trasmissione e distribuzione dell'elettricità ma anche per l'impiantistica, gli approvvigionamenti, l'informatica ecc. che rendiconteranno al consiglio di amministrazione, abbandonando la logica di funzionamento di tipo "ministeriale" meglio nota come quella dei "carrozzoni".
Nomina nuovi dirigenti, assume moltissimi giovani laureati e licenzia portandoli in Tribunale i manager siciliani che hanno dichiarato dati falsi sulle interruzioni della corrente che costeranno ad Enel una multa miliardaria dell'Authority per l'Energia.
Quando lascia il suo incarico, l'assemblea degli azionisti approva il bilancio 2001 chiuso con un utile record di 4,226 miliardi di euro, in rialzo del 168,7% rispetto al 2000, che consentirà la distribuzione di un dividendo di 0,36 euro ad azione (+38,5% rispetto all'anno precedente). La brillantezza e il carattere lo portano a intervenire in modo graffiante sui temi più svariati. Al Forum di Cernobbio dello Studio Ambrosetti, è il turno delle infrastrutture per le telecomunicazioni che trova carenti e drammaticamente insufficienti ai bisogni del Paese (costringendo le Poste alla smentita di rito ("le dichiarazioni del dottor Tatò non sono molto chiare, perchè l'e-commerce è un settore molto competitivo in cui operano tanti attori. E Poste Italiane si sta impegnando anche in questo settore e farà la sua parte per far decollare questo mercato che è ancora nella fase iniziale"), dicendo:
"Internet è lentissimo e per ottenere una linea Isdn o Adsl bisogna fare intervenire un ministro, perché si va per raccomandazioni. Solo il 28% dei siti di e-commerce italiani indica i termini di consegna. Si rispetta la data di consegna nel 50% dei casi in Europa e in Italia solo nel 4%. Basta fare lavorare le Poste Italiane -- conclude ironizzando -- e l'e-commerce non partirebbe mai".
Intellettuale poliedrico, autore di numerosi libri, accetta l'invito della trasmissione Il Grillo della Rai e di fronte ai ragazzi del "Seneca" di Roma che lo interrogano alla Rai per l'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, spiega:
"Viviamo ancora in un’epoca in cui si dà più importanza alle risorse materiali che a quelle immateriali. Sappiamo bene che il nostro paese non ha materie prime e che deve procurarsele altrove. Fortunatamente stiamo entrando in un’era in cui le risorse non saranno più esclusivamente costituite dall’agricoltura o dall’estrazione, ma soprattutto dai capitali intellettivi: la Quarta Rivoluzione Industriale è in atto e sarà la "rivoluzione dell’intelligenza".
L’investimento più proficuo da fare -- continua -- riguarda la propria formazione, perché l’intelligenza non educata non serve a nulla. Nella competizione globale, il settore imprenditoriale che potrà contare sul maggior numero di intelligenze ben preparate sarà in possesso delle tecniche di management più all’avanguardia, non molto diverse da quelle che un tempo progettavano i movimenti necessari a montare un’automobile. Dovete ritenervi fortunati, perché siete giovani e avete davanti un’epoca che privilegerà le risorse immateriali, ossia l'intelligenza e i valori".
L'intervista ha per tema la Democrazia e il Mercato, e a una ragazza che lo interroga Tatò dà una risposta al solito non evasiva:
"L'espansione dell'informazione è la base della democrazia perché costituisce il fondamento dello sviluppo dell'opinione pubblica e, di conseguenza, del controllo sull'esercizio del potere. Attraverso la libertà di stampa, infatti, l’opinione pubblica può formarsi senza impedimenti, e il potere che i cittadini delegano ai propri rappresentanti può essere controllato in modo da corrispondere agli interessi della collettività e non ad altri.
La stampa è dunque una condizione essenziale per lo sviluppo della democrazia, della sua interpretazione e della sua realizzazione. Se il regime democratico non funziona è colpa nostra, perché non siamo riusciti a mettere a disposizione delle società democratiche tutti gli strumenti essenziali a farlo funzionare. Tra tali strumenti vi è appunto la libertà di stampa.
"Nel nostro Paese la maggioranza dei quotidiani è nelle mani dei grandi gruppi imprenditoriali, portatori di interessi industriali specifici e latori di un chiaro conflitto di interessi. D’altra parte la televisione è regolata dal duopolio RAI/Fininvest che rappresenta l'opposto rispetto ad un regime di libero mercato. Nel nostro paese esiste certamente uno dei criteri fondamentali per la crescita della democrazia -- ovvero la libera diffusione delle informazioni -- ma occorre svilupparlo secondo regole più aperte al mercato".
Prossimo ai 70 anni, lasciata Enel, Tatò apre a Roma una consulenza di direzione ed entra nel Consiglio di amministrazione di Prada. Ma forse il Governo potrebbe considerare che, nonostante le decine di miliardi spesi per mantenerle ogni anno, nessuna delle Facoltà di Economia delle grandi Università del Meridione abbia ancora costituito una Scuola di management pubblica di dimensioni o rilievo internazionale e valutare quindi che forse lo sviluppo del Meridione avrebbe bisogno più di grandi manager che di avere Università che continuano a sfornare in sovrabbondanza quelli che Marcello de Cecco ha chiamato "i paglietti commercialisti".
L'autore di Perché la Puglia non è la California potrebbe essere chiamato a crearla e gestirla come ha fatto con le imprese che ha guidato: usando la cultura per far crescere -- e di molto -- le imprese e la cultura d'impresa nel nostro Paese. Il che peraltro onorerebbe la visione dei grandi legislatori italiani del passato che vollero che la classe dirigente del Paese fosse formata -- come Tatò -- alla più grande e utile delle discipline: la Filosofia.
I corsi di formazione manageriale del Quality Tour e il libro di Mario Pagliaro, Scenario: Qualità.