Mario Pagliaro's Newsletter, 20 settembre, 2002:

Che fine fa la chimica in Italia?

Giovanni Carturan, il chimico italiano che ha messo a punto il processo per stabilizzare le cellule per fargli produrre molecole salva-vita, parla di Università italiana e spiega come il rapporto fra ricerca chimica e industria sia tutto da costruire. Nell'interesse dei giovani, degli imprenditori e della scuola chimica italiana. 

A Franco Piacenti, in memoriam

Incontro Giovanni Carturan in un bel pomeriggio di metà settembre del 2001 ad Abano Terme.

Veneto di Padova, 58 anni, da 18 professore ordinario di chimica, Facoltà di ingegneria, all’Università di Trento, Carturan ha appena concluso il suo bellissimo intervento al congresso (workshop) mondiale “Sol-Gel 2001”, al solito emozionandosi durante la relazione che ha toccato anche il trattamento chemioterapico dei tumori. 

Il suo metodo Biosil consente di isolare e proteggere cellule funzionali, quali le cellule capaci di produrre molecole complesse dalla potente attività biologica come il Tassolo, farmaco antitumorale ottenuto altrimenti con rese modestissime dalla corteccia di varie specie dell’albero di tasso che, per questo motivo, stava rapidamente scomparendo.

Dopo l’intervento, Carturan presenta sua moglie all’amico e collega David Avnir, il chimico israeliano in odore di Nobel che ha inventato la tecnologia sol-gel per la preparazione di materiali chimicamente attivi ad alte prestazioni, che Carturan ha esteso dimostrando la possibilità di incapsulare in vetri porosi, oltre a molecole piccole e grandi, direttamente le cellule

Gli ho chiesto un’intervista per discutere di ricerca e trasferimento tecnologico, di chimica e finanziamenti alla ricerca nel nostro Paese. Prima, lo accompagno a comperare il tabacco per la sua amata pipa, che lui accende ordinando un caffè prima di iniziare a parlare. “Non avete soldi? – Assurdo, non è mai esistito un periodo storico che offrisse tante opportunità.”

Gli dico, invece, che con il Quality College, siamo un Istituto del CNR largamente autofinanziato, che per noi creare valore per gli altri è l’unica ragione per lavorare, ma anche delle difficoltà nel coinvolgere l’industria dal Sud Italia.

“Vedi -- mi dice -- il problema non è tanto nel Sud o Nord Italia. Io ho avuto la fortuna di conoscere imprenditori validi, innanzitutto dal punto di vista culturale. Che è il fattore fondamentale.

"La coniugazione di imprenditorialità e cultura deve essere caratterizzante per la professionalità dell’imprenditore e questa è la cosa fondamentale per creare ricchezza per sé e per il Paese. E a questo va aggiunto il problema della ricerca chimica italiana e dell’impostazione degli studi universitari di chimica.” 

“Come si chiama -- mi chiede sarcastico (ma serio) -- questa tecnica spettroscopica?… ESCA?…Bene, quante persone dovrebbero conoscerla allo scopo di coniugare le finalità imprenditoriali con quelle della ricerca in Italia? Cioè, di quante persone c’è bisogno in Italia che la conoscano per fare un prodotto con un valore di mercato? Diciamo tre?

Forse sono poche, va bene. Diciamo dieci allora, che secondo me è più che sufficiente. Eppure, proprio l’altro giorno ho partecipato agli esami di dottorato e sono decine, la maggior parte temo, gli studenti che ormai si occupano solo di questa o di altre “mirabili” tecniche analitiche, e poco delle tantissime altre cose che invece servono a costruire il profilo professionale di un chimico. 

“Vedi -- aggiunge, citando il paragrafo “Azoto”de Il Sistema Periodico di Primo Levi? (straordinario libro in cui il chimico e scrittore torinese declina la sua esistenza accanto alla sua esperienza degli elementi chimici, NdA) -- c’era un tempo in cui il chimico entrava tranquillamente in un pollaio perché quello era l’unico posto dove, negli escrementi delle galline, c’era il migliore derivato necessario alla produzione dei rossetti femminili. 

"Oggi -- aggiunge -- non lo farebbe più nessuno: nell’Università odierna e fra i chimici si è completamente persa la professionalità che coincide con la 'cultura che si realizza' per cui la chimica era sì una scienza ma legata alla produzione di beni e sostanze preziose per l’uomo e quindi con valore di mercato. 

Carturan insegna chimica alla Facoltà di ingegneria di Trento presso il Dipartimento di ingegneria dei materiali (brevemente, -- per chi non abbia confidenza con l’organizzazione delle Università -- in Italia come quasi ovunque altrove, queste sono organizzate in Facoltà; mentre però ingegneria è una Facoltà autonoma, le varie discipline scientifiche di base: chimica, fisica, biologia, matematica e geologia fanno invece parte dell’unica Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Nessuna di queste discipline ha infatti mai raggiunto il numero sufficiente di studenti e il potere politico ed economico necessario a costituirsi autonomamente con l’eccezione, appunto, della chimica applicata alla medicina -- la farmacia -- che pochi anni fa si è costituita in autonoma Facoltà.

I chimici sono laureati in chimica ed insegnano la loro disciplina trasversale in tutti i corsi di laurea di Scienze ma anche -- ed ovviamente, vista la sua centralità -- nelle Facoltà di medicina, farmacia, agraria e ingegneria. 

“Recentemente, sono stato consultato in maniera informale -- mi spiega Carturan -- per la riforma del curriculum di studi universitari per la formazione dei chimici. Ma l’invito ad una maggiore concretezza e ritorno allo spirito sperimentale e applicativo non mi sembra sia stato preso in grande considerazione” -- conclude amaro.

Chimica e Biologia si incontrano. E nascono le biotecnologie

Per capire l’importanza della scoperta di Carturan nell’ambito dell’Istituto di Ricerche Biotecnologiche di Vicenza, l’azienda in cui la relativa tecnologia é stata sviluppata, basta comprendere che il Tassolo salva la vita a pazienti affetti da tumore.

Sfortunatamente, però, l’unico modo di isolarlo era quello di scorticare gli alberi di tasso ed estrarne la potente molecola tal quale preparata -- come usava dirsi -- da Madre Natura. “Siano dannati -- scriveva ancora poco tempo or sono un marito americano -- la Foresta Pluviale e l’ecosistema se è della vita di mia moglie che stiamo parlando”.

La signora e altri pazienti possono riporre nuove speranze di guarigione a seguito del lavoro di questo scienziato italiano e della struttura di ricerca dell’IRB che hanno scoperto e sviluppato il modo di produrre il prezioso farmaco coltivando le cellule del tasso incapsulate e protette da una membrana porosa di silice che contribuisce a fare dell’Italia -- almeno nel settore dei biomateriali -- un Paese leader e non il solito inseguitore nel decisivo settore delle biotecnologie (la scoperta è oggetto dei brevetti US-Patent 5998,162 del 1999 e US-Patent 6214,593 del 2001).  

Foto al microscopio di cellule umane fibroplasti ricoperte di silice con il Metodo Biosil

E smentendo le tesi di chi vorrebbe accademici e ricercatori italiani incapaci di fare impresa, il professore Carturan si è impegnato personalmente nell’ambito di aziende con manager capaci di investire in nuovi settori della ricerca applicata. “Queste aziende operanti nel restauro di opere d’arte, nelle biotecnologie e nei nuovi materiali sono piccole realtà dotate di grande dinamismo culturale. Tutte localizzate -- mi dice con orgoglio veneto -- fra l’Adige e il Brenta”. 

Ex ricercatore del CNR e poi, professore a Trento, Carturan lavora ancora attivamente per sviluppare ulteriormente queste scoperte, magari per la produzione di organi bioartificiali (fegato) o per il trapianto cellulare in sostituzione del trapianto di organi. Ricerche che peraltro, aggiungiamo noi, integrandosi con i recenti risultati delle ricerche sulle cellule staminali, potrebbero portare a risultati di grande interesse nel settore bio-medico. 

Può essere utile ricordare ai lettori che l’Italia ha oggi un’industria chimica privata di medie e piccole dimensioni straordinariamente capace, flessibile ed innovativa, rappresentata da industrie come Acs, Bracco, Mapei, Dobfar, Biotec, Reagens, Fis, Sipcam e Sifi. Ma che ha perduto quasi integralmente il controllo dell’industria chimica di base e di quella farmaceutica, interamente vendute a Gruppi esteri con l’eccezione di Enichem che Eni, tuttavia, ha ripetutamente dichiarato di volere vendere per focalizzarsi sul business dell’energia. 

“Con la siderurgia -- ha detto al solito efficace Marco Vitale -- la chimica italiana è il caso più eclatante di mismanagement del nostro Paese”. 

Il risultato è che l’Italia -- il Paese della Montedison, della Sir e di Enimont -- si ritrova oggi con un disavanzo annuo netto nella bilancia dei pagamenti di oltre 9.500 milioni di euro (18mila miliardi delle vecchie lire, e quasi tutto concentrato nei prodotti chimici di base e che in 10 anni, per dire, fa 180mila miliardi con i quali si sarebbero potute fare tante cose).

Stiamo parlando infatti della più grande (dopo quella alimentare ed energetica) e della più importante industria di tutti i Paesi industrializzati, che comprende sia l’industria dei prodotti cosiddetti di base (acidi minerali, plastica, soda, cloro, ammoniaca, alluminio, combustibili) che quelli della cosiddetta "chimica fine" (coloranti, pigmenti, farmaci, vitamine, fragranze, profumi, plastiche ad alte prestazioni e molto, molto altro: praticamente quasi tutto quello che vi circonda inclusi i fosfori o i cristalli liquidi del monitor attraverso il quale state leggendo questo articolo.

La ricerca per creare valore per i giovani e la comunità

“Ho 2 figli, uno letterato che tra Parigi e Londra vende macchine e utensili, e un’altra che esercita la professione di chimico precario a tempo pieno. Dei giovani -- continua insieme disilluso e felice -- non capisco quasi nulla, ma non potrei fare a meno del contatto quotidiano con loro. Entro in Aula e dimentico le tante incomprensioni perché mi sento di amarli così come sono, senza eccezioni. 

“Tu -- mi chiede -- hai letto Il Sistema Periodico di Levi? Bene, io ne renderei obbligatoria la lettura per tutti gli studenti di chimica italiani. Dove sono la fantasia, la capacità di sentire il mondo della chimica vicino e reale di Levi?”. 

“Oggi, -- prosegue – nelle attività legate al processo Biosil lavorano 30 persone. Sai qual è la soddisfazione per me quando l’azienda assume una biologa neolaureata o un chimico con il dottorato di ricerca che invece di passare anni nel precariato o in attività che esulano dalla loro professionalità e cultura, trovano la possibilità di fare ricerca e sviluppo in una azienda in Italia?”. 

Gli chiedo del Web e di Internet, dai quali Carturan è lontano, ma lui mi spiega invece di come abbiano dovuto “prodursi in casa il tetraetossisilano necessario alla produzione della silice per incapsulare le cellule visto che sul prodotto c’era un cartello dei produttori che ne stabilivano il prezzo e potevano esercitare il controllo degli utilizzatori”…(e questo ancora, nel 2001 e nell’Unione Europea che dell’antitrust ha fatto una delle competenze centrali della Commissione!).

Sorrido e realizzo come le aziende con cui Carturan collabora e tutto il suo lavoro sono l’esempio più evidente di come sia del tutto possibile fare impresa in Italia basandola sull’innovazione e la ricerca anche universitaria creando valore ogni giorno per i giovani e per la comunità.

La chimica in Italia. La più grave crisi di sempre avvia l’ineluttabile cambiamento

Per comprendere la gravità della crisi vissuta dalla Scuola chimica italiana basta qualche numero. 

I corsi di laurea in chimica che si avviano in questi giorni di settembre registrano l’ennesimo, sconcertante calo nel numero di iscritti per cui, secondo quanto prevede la nuova riforma dell’Università, è concreto in molte sedi il rischio della chiusura e assorbimento del glorioso corso di laurea da parte delle Facoltà di ingegneria, o l’accorpamento con altri corsi di Scienze. 

La Società chimica italiana (SCI) è scesa a meno di 5mila soci (su 56 milioni di abitanti; mentre gli altri Paesi industrializzati ne hanno:

La storica rivista della Società -- dal bellissimo nome La Chimica e l’Industria -- si è ridotta ad avere in copertina pistoni, pompe e varie altre immagini pubblicitarie di prodotti industriali (sic!) visto che con la pubblicità e gli esigui fondi della Società non si riusciva più a sostenerla economicamente; le sue pagine dedicate al dibattito ospitano quasi sempre livide polemiche fra professori universitari sulle continue “riforme” dell’insegnamento della chimica nell’università, accanto ad altrettanto severissimi commenti sugli strafalcioni chimici dei nostri mass-media. Inoltre, la rivista pubblica ogni mese review (riassunti sullo stato dell’arte di certe ricerche) scritti in un inglese tanto approssimativo quanto fuori luogo (visto che i suoi lettori sono tutti italiani).

Ci sono poi, a comunicare il valore della chimica in Italia, la settimana dei Giochi della chimica della SCI, un Premio per l’innovazione finanziato dagli industriali e il loro analogamente meritevole programma di gestione e comunicazione ambientale Responsible Care sul quale si legge la pubblicità sulle pagine di qualche quotidiano nazionale in occasione della settimana "Fabbriche Aperte” prevista dal programma.

Il Consiglio nazionale dei chimici fondato nel 1921 difende gli interessi dell’Ordine (sempre più esiguo) gestendo il sito Web Chimici.it; infine, il Ministero dell’Industria gestisce l’Osservatorio chimico volto a promuovere partnerhsip fra le PMI italiane, la comunità scientifica e le imprese internazionali, ed -- egregiamente -- a promuovere la cultura economica che è stata ed è della grande Scuola di economia industriale italiana.

Bisogna aggiungere che lo stipendio di un ricercatore chimico universitario neoassunto è di 900 euro mensili (e crescerà con il solo meccanismo dell’anzianità, come per normali impiegati dello Stato, fino a 1400 euro); mentre un ricercatore del CNR di euro ne prende 1300 (idem come sopra, per il progresso stipendiale). 

Per farsi un’idea, un consulente di direzione neoassunto da una qualsiasi delle multinazionali della consulenza che operano in Italia e vanno ogni giorno a caccia dei talenti, guadagna 4mila euro, che diverranno 30mila quando il nostro giovane neoassunto diventerà partner. 

Vista così dall’esterno, quindi, la domanda è: quale attrattiva può quindi esercitare la laurea in chimica sui giovani diplomati nel tempo della società della comunicazione, del management, dell’informatica e di Internet? Lo stesso tempo in cui, cioè, le Università, e addirittura i singoli corsi di laurea più grandi e più ricchi, si fanno pubblicità a pagamento sui principali giornali in una nuova, intensa concorrenza per reclutare il massimo numero di matricole (numero dal quale dipende una fetta consistente del loro budget ministeriale)? 

Poca o nessuna, naturalmente. 

“E il risultato -- spiegava in un bellissimo intervento presso la sede degli industriali chimici, la medaglia d’oro al merito per l’istruzione del presidente della Repubblica, Renato Ugo -- è che dal 1993 abbiamo iniziato ad assistere alla diminuzione del numero di iscritti che ha portato il nostro Paese dai 1625 laureati fino al 2000 ai 620 laureati attesi nel prossimo anno, con un calo del 63%”!

Di fatto, quindi, i laureati italiani non sono sufficienti nemmeno a coprire il naturale turn-over generazionale, e le imprese italiane si trovano ad importare chimici dagli altri Paesi europei! 

Eppure, -- e qui sta il punto -- proprio nella chimica, nella ricerca chimica e nelle applicazioni pratiche dei trovati della ricerca, sta il futuro dell’industria e della società moderna basato sulla qualità e sul miglioramento del grado di benessere collettivo diminuendo al contempo l’impatto ambientale generato: la sovrapposizione della scienza dei materiali e delle scienze della vita per creare nuovi materiali per la produzione di dispositivi ad alte prestazioni; l’uso dei carboidrati e della biomassa per la sintesi di molecole complesse seguendo l’esempio della Natura; la produzione dell’energia dall’idrogeno dell’acqua ottenuto per scissione con la luce, per liberarsi dalla dipendenza dal petrolio che sta rapidamente ingolfando l’atmosfera di anidride carbonica... 

Queste cose non le sappiamo ancora fare, ma sappiamo che riusciremo a farle con la catalisi che è e sarà, per riconoscimento del Governo americano, centrale a qualsiasi evoluzione delle nostre società verso lo sviluppo sostenibile. 

Ma senza giovani chimici di talento, l’Italia non darà alcun contributo a tale evoluzione e continuerà il suo declino industriale ed economico. 

E lo scenario che abbiamo davanti è tanto critico che deve essere conosciuto. “Dobbiamo abituarci -- spiegava ancora al Sole del 7 settembre il demografo Massimo Livi Bacci -- a 2-3 decenni di scarsità di giovane personale. Negli anni ’60 nascevano 1 milione di bambini l’anno, oggi siamo a quota 540mila. Gli attuali 35enni sono i figli del boom demografico ma nel 2015 il loro numero risulterà dimezzato rispetto ad oggi”.

Da una grande Scuola, straordinarie opportunità per i giovani italiani

La partecipazione allora al Convegno dei chimici italiani che si occupano di catalisi, è stata in questo senso esemplare delle difficoltà e delle opportunità che si offrono ai giovani italiani interessati alla chimica. 

Sono gli eredi di una tradizione che si chiama Giulio Natta (catalizzatori per il polipropilene ad alte prestazioni) e ancora prima di Guido Donegani (catalizzatori per l’ammoniaca); e più recentemente di Bruno Notari e dei suoi colleghi in ENI che scoprirono la TS-1 per l’ossidazione degli alcheni nei preziosi epossidi, e di Nicola Giordano (celle a combustibile, Messina): una tradizione culturale ed umana che oggi ha i suoi epigoni, fra gli altri, nello stesso Carturan, in Claudio Bianchini (Firenze, polimerizzazioni), in Antonio Tiripicchio (Parma, chimica fine e analisi strutturali), Paolo Fornasiero (Trieste, catalisi ambientale) e Ferruccio Trifirò (Bologna, ossidazioni).

Ma al Convegno siamo in pochi, i maggiori esponenti hanno dato forfait, e soprattutto lo sforzo di integrare la partecipazione con gli altri chimici italiani è fallito. 

Così, i migliori interventi vengono presentati proprio dagli allievi di Natta che, tuttavia, sono ormai prossimi alla pensione. 

Foto di Franco Piacenti ad Alghero il 10 giugno 2002Fra questi, c’è quello commovente del professore Franco Piacenti premiato nell’occasione dalla SCI con la medaglia “Pino” e che ad Alghero ha tenuto il suo ultimo intervento pubblico con uno splendido excursus sulla sua vita professionale e sulla chimica italiana. E che -- guardando i suoi allievi ormai docenti e gli altri universitari presenti in sala -- ha concluso così: “E i professori universitari…siano capaci di collaborare e superare rivalità e problemi”.

Problemi che naturalmente il più importante professore italiano di chimica industriale (a Firenze), padre delle ricerche chimiche applicate alla conservazione dei beni culturali che proprio nel capoluogo toscano videro le prime applicazioni del suo lavoro dopo l’alluvione del ’66, ha visto crescere e consolidarsi. 

Eppure, neanche le esortazioni dei migliori hanno successo, se non esistono criteri e sistemi certi per selezionare e promuovere la qualità, allocando le risorse in funzione del merito e dei risultati scientifici e formativi del lavoro di ricerca e di insegnamento. In breve, se la ricerca è del tutto avulsa dai principi che fanno funzionare il libero mercato.

Ed infatti non bisogna essere esperti di economia politica, per comprendere come il cambiamento sia iniziato soltanto alla metà degli anni ‘90 con l’ulteriore crisi apertasi con la fine dei finanziamenti “a pioggia” e l’introduzione del meccanismo del finanziamento basato sulla qualità dei progetti di ricerca, giudicati a Roma sì dal Ministero della Ricerca, (oggi integrato dal Governo di centrosinistra con il Ministero dell’istruzione) ma stavolta con il meccanismo del peer-review basandosi sul parere sul merito espresso da colleghi anonimi

Il risultato è stato che circa l’80% dei Gruppi di ricerca chimici delle Università italiane sono rimasti -- letteralmente -- privi di denaro. Senza alcuna risorsa cioè, se non quelle sufficienti a pagare le utenze dei laboratori: e non possono più condurre ricerche limitando la loro attività al semplice insegnamento in aule semivuote.

Industria e ricerca chimica. Una nuova alleanza per il futuro dell’Italia

D’altra parte, le risorse finanziarie sono limitate: l’Italia fa parte organica dell’UE ed è vincolata dagli impegni conseguenti al rigore della finanza pubblica il cui andamento attuale molto negativo (“il Governo – spiegava il 6 settembre Fiorella Kostoris dell’ISAE -- dovrà varare una manovra finanziaria pari all’1,7-1,8% del prodotto interno lordo, per raggiungere il “quasi pareggio”, pari a non meno di 20-21 mld di euro”) limita ulteriormente le risorse che potranno essere rese disponibili. 

E così l’Italia (“Il Paese degli inventori e dei Premi Nobel”, secondo l’a.d. di TILAB Andrea Granelli) pur ricchissima di giovani pieni di fantasia e capacità, non è in grado di offrire opportunità concrete di inserimento e poi di valorizzazione professionale ed economica nel sistema della ricerca pubblico. 

E i migliori fra i giovani studenti di chimica si laureano “turandosi il naso”, e poi lasciano l’Italia per condurre all’estero i loro dottorati di ricerca (regolarmente ben pagati) o i loro post-doc, alimentando il fenomeno del brain-drain (fuga dei cervelli) che priva sempre più il nostro Paese della possibilità di crearsi un futuro basato sull’innovazione, la formazione e la scienza.

Nemesi questa -- estesa all’Italia -- del fenomeno che ha già privato il Meridione dei grandi progettisti, ricercatori, avvocati, medici, docenti, manager e consulenti che oggi contribuiscono in modo decisivo alla ricchezza del Nord e Centro Italia dove sono emigrati e continuano ad emigrare. 

Eppure, se state per terminare la scuola superiore, e subite l’incredibile fascino della chimica: la scienza che offre ogni giorno soluzione -- e problemi, certo -- ai bisogni dell’uomo e della società, non perdete l’occasione: iscrivetevi al corso di laurea in chimica della vostra città, o in quello più vicino a voi. 

E’ vero infatti che “l’Università e i ricercatori italiani -- come spiega il chimico ed amministratore delegato uscente di Telecom Italia, Enrico Bondi -- non sono predisposti a collaborare con l’industria. E ci vorranno anni prima che torni a svilupparsi questa preziosa collaborazione”.

Ma ora -- settembre 2002 -- i giovani diplomati devono sapere che il cambiamento è già in atto: che i nuovi docenti universitari e i ricercatori chimici del nuovo Cnr che sta per nascere lavoreranno nell’ambito di contratti a tempo determinato in cui saranno valutati periodicamente per le loro attività di ricerca, di formazione, di networking e di attrazione delle risorse. 

E che accanto ai problemi e alle difficoltà che stiamo superando, troveranno come mentori dei chimici che comprendono pienamente il loro ruolo nella formazione di una classe dirigente consapevole e formata a raccogliere le sfide che la trasformazione dello sviluppo sostenibile richiede a tutti noi. 

Per esempio oggi, finalmente, ai ricercatori italiani all’estero il nuovo Governo ha offerto la possibilità di rientrare in Italia con 60mila € all’anno per 3 anni; e seppure abbia tagliato i fondi destinati alla ricerca, ha già promesso una costante crescita del finanziamento pubblico (PDF) per i prossimi 4 anni.

Dopo, però, che avrà varato una vera riforma globale del sistema pubblico della ricerca e della formazione superiore che è necessaria per la sopravvivenza stessa dell’Italia come Paese industrializzato. 

Una riforma che il chimico e straordinario storico dell’arte Federico Zeri già qualche hanno fa aveva delineato nella sua essenza in modo esemplare e al solito icastico in un’intervista rilasciata nel luglio del ’98 a Manlio Triggiani per Lo Stato, rispondendo alla domanda “Cosa pensa dell’università italiana?” 

Il chimico e storico dell’arte Federico Zeri riceve la laurea honoris causa in lettera a Bologna il 6 febbraio 1998“L’Università italiana è un’associazione a delinquere e l’organizzazione è sbagliata. In tutto il mondo, salvo che in 2 o 3 Paesi, il professore è a contratto. Vince il posto, firma un contratto con lo Stato, che dura 3 o 4 anni, e allo scadere può essere rinnovato su scrutinio della facoltà e degli studenti.

"Questo impedisce che i professori impartiscano una sola lezione l’anno; che tutto sia in mano agli assistenti; che donnette molto disponibili vadano in cattedra. “Ci sono casi scandalosi…In Italia, una volta che il professore viene nominato resta tale vita natural durante. E’ inevitabile che un’istituzione del genere si corrompa

“Ci deve essere il diritto degli allievi e della facoltà di dare un parere sull’operato del professore. Se ci fossero università alternative non statali, la cosa cambierebbe. 

"Perché -- concludeva -- con le università tedesche o americane vanno particolarmente bene? Perché c’è un ricambio continuo e i docenti sono a contratto. Qui il professore sembra un semidio”.

In questo contesto, i giovani possono sapere che studiare chimica gli offrirà una formazione vastissima e realmente multidisciplinare che è insieme intellettualmente rigorosa e stimolante per la fantasia, con programmi rinnovati, corsi di laboratorio e informatica e un’apertura mentale che è intrinseca allo studio della disciplina. 

E ancora, formazione sul management organizzativo e personale, sulla comunicazione e la conduzione e gestione dei progetti di ricerca offerta accanto alla capacità di ricercare sostanze e processi produttivi nuovi e puliti per soddisfare le domande sempre più urgenti delle società sviluppate e i bisogni primari di quelle meno sviluppate.

Nel loro stesso interesse, gli industriali chimici con la Federazione di settore potrebbero (e a nostro avviso, dovrebbero con urgenza) intraprendere una campagna di comunicazione pubblica efficace sulle straordinarie potenzialità della chimica e sui benefici ambientali delle nuove tecnologie chimiche (il che -- per farla breve -- significa spendere alcuni milioni di euro per pagare un’Agenzia di comunicazione per produrre una pubblicità da mandare in onda sulle reti RAI e Mediaset e far pubblicare sui giornali).

E poi aprirsi a un atteggiamento proattivo di collaborazione con i ricercatori del sistema pubblico della ricerca, ricercando le varie competenze e promuovendo incontri periodici in tutta Italia fra le industrie e ricercatori e stabilendo partnership con 2 obiettivi: creare innovazione e offrire opportunità stimolanti ai più giovani, che domani saranno il loro asset più importante. 

Sta invece a noi accademici e ricercatori -- che in questo falliamo miseramente ogni giorno -- ridare alla nostra disciplina il fascino culturale ed umano e la straordinaria attrattiva che le sono propri, spiegando che studiare chimica serve -- per dirla con il grande Paul Feyerabend -- ad aprirsi la testa: il concetto di forma e struttura, la simmetria, il legame chimico, la sua fantastica storia e la sua autonomia intellettuale da tutte le altre discipline scientifiche. 

In breve, comunicargli il valore della chimica usando -- al posto dello stile trombonesco e declamatorio tipico di troppi accademici -- i metodi della comunicazione efficace; e quindi vincere le ritrosie e i privilegi che spingono alla divisione e al declino come la frammentazione dei ricercatori in inutili Dipartimenti (chimica organica, inorganica, fisica, analitica, biologica e chi più ne ha più ne metta). 

La scuola chimica italiana si rinnoverà con i nuovi studenti, con l’apertura internazionale in corso in tutti i settori della società italiana e con il sostegno dei piccoli e medi imprenditori e della classe politica che sempre più comprendono il valore strategico della ricerca per l’innovazione e la qualità dei prodotti in alternativa al declino economico e sociale. 

“La chimica ha molto da dire e da dare ai giovani e all’Italia” -- mi dice salutandomi e sorridendo Giovanni Carturan. 

Mi permetto di aggiungere: credetegli.


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