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Newsletter di Mario Pagliaro, gennaio, 2004:
Sommario"Ho cominciato 40 anni fa, ha detto Romano Bonfiglioli aprendo il suo intervento a Palermo al Quality College del Cnr, titolare dell'omonima consulenza bolognese che ha fatto e sta facendo da "evangelista" del lean-thinking nel nostro Paese.
Storia di un consulente italiano: Romano Bonfiglioli
"Sono un ingegnere minerario e facevamo le prospezioni per la ricerca petrolifera con l'esplosivo ed i geofoni. Allora, arrivavamo a 4-5 km di profondità e con la mia squadra trovammo pure un giacimento di gas fra Macerata e Foggia.
"Quelli erano i tempi di poco successivi a Cristo si è fermato ad Eboli ed a Macerata c'erano le persone che vivevano nelle grotte.
"Una mattina che eravamo fermi nella piazza di Macerata per prendere il caffè ho incontrato un amico e collega, anche lui di Bologna."Questo avveniva 38 anni fa. Allora -- ha continuato Bonfiglioli -- fare il consulente significava fare la contabilità aziendale, prendere i tempi del lavoro, e calcolare i costi di produzione. Non c'erano neanche i libri, e il mestiere mi fu insegnato di persona. Da Torino sono andato a Brescia, a Milano e poi a Trieste. Sempre in giro.
"Un bel giorno che era 6-7 anni che ero fuori di casa e avevo voglia di tornare a Bologna, proposi la mia consulenza ad un imprenditore, un ex operaio che aveva 200 operai: mi nominò responsabile della produzione a 29 anni. Con il loro capo operaio -- un energumeno gigantesco -- c'ho passato 6 mesi a battagliare. Litigate furibonde, ma quando capì che ero lì per comandare e portare metodi nuovi, accettò la cosa e divenimmo persino amici.
"In poco tempo divenni direttore generale, gestivo cioè tutta l'azienda: giocavamo anche a pallone, e io facevo il portiere (visto che allora andavano ancora di moda i portieri piccoli!) con i compagni che in campo mi chiamavano 'ingegnere'.
"Oggi siamo in 40 e con me ci sono 30 ingegneri che lavorano in tutto il territorio nazionale mentre abbiamo acquisito clienti anche in Inghilterra e in Bulgaria. Allora però, tutti mi chiedevano se fossi diventato matto. Ero sposato con un figlio e avevo miei suoceri addosso con il fucile puntato.
"Una domenica allora caricai mia moglie, mia suocera e mia madre per andare a Saronno alla Isotta-Fraschini che mi offriva un buon lavoro. Pioveva e faceva freddo e al rientro mia moglie mi disse: 'A Saronno, se vuoi, ci vai tu'. E così -- ha continuato il consulente bolognese -- intrapresi con convinzione la professione di consulente d'impresa.
"Il mio compito era ed è realizzare e far realizzare le nostre proposte, perché l'unico senso del lavoro consulenziale è lasciare l'impresa migliore di prima dell'intervento. Per avere successo nelle cose, bisogna andare a fondo: io sono convinto di fare il bene dell'azienda, quando vado. E generalmente sono capace di convincere l'imprenditore. Ma se l'imprenditore osta, allora preferiamo perdere il cliente ed evitare di scendere a compromessi se questo porta a strade sbagliate.
"Quando ho cominciato, non c'era un mercato della consulenza, ma oggi siamo sommersi dal lavoro anche se generalmente ci mettono in concorrenza con i tedeschi della Porsche Consulting. Quindi, il consulente bolognese ha proseguito il suo intervento con un excursus sul pensiero organizzativo da Taylor a Maslow con la gerarchia dei bisogni, alla Teoria dei Sistemi.
"Negli anni '80 -- ha continuato -- irrompono i giapponesi: ora, per darvi un'idea di com'è cambiata l'impresa negli ultimi 40 anni, considerate che nel '61 un mio amico neolaureato fu messo al tornio ad imparare la pratica, e subito prese a dare consigli al capo che altrettanto rapidamente gli disse 'tu pensa a lavorare che a pensare ci pensiamo noi...'.
"Nello stesso tempo invece, in Giappone l'idea che si stava diffondendo fra le imprese era che lo scopo primario di un'azienda fosse la customer satisfaction e che il profitto ne fosse una naturale conseguenza. Una conseguenza, e non la causa. E come si ottiene la soddisfazione del cliente? Attraverso la qualità. E se la qualità è quella che soddisfa il cliente, questo significa che la qualità è di tutta l'azienda: dal centralino al direttore generale.
"Quindi, poiché la qualità è responsabilità globale, di tutti, questo implica che la formazione sulla qualità e sul miglioramento continuo -- il kaizen -- deve essere estesa a tutti, e innanzitutto al vertice aziendale.
"Vedete, l'industria giapponese negli anni '50 e '60
era un'industria manifatturiera scadente ed
è diventata leader in quasi tutti i settori con prodotti di
straordinaria eccellenza perché ha fatto un salto culturale
che è proprio quello della qualità
totale.
"Io amo la semplicità: se c'è qualcosa che penso possa migliorarci vi aderisco con entusiasmo. Renato Tagiuri -- emerito ad Harvard di sociologia e consulente aziendale nel campo delle risorse umane -- mi chiamò dicendomi che in America andava fortissima questa "produzione snella".
"Così, 5 anni fa lessi il libro di Womack e Jones. Lo divorai e ne comprai subito 30 copie che diedi ai miei collaboratori prima delle ferie. Al rientro, costituimmo dei Gruppi di lavoro e quando fummo sicuri di poter offrire il servizio alle aziende, provammo.
"Oggi, per noi la consulenza ISO 9000 vale 10-15 giornate/uomo di intervento ma quella sul lean-thinking richiede 500 giornate. Il mio libro sul lean-thinking ha venduto 2500 copie che, mi riferisce l'Editore, trattandosi di un libro italiano di management, ne fa un best-seller. Il lean-thinking si basa su un approccio sistemico all'eliminazione dello spreco -- il muda, in giapponese -- delle risorse. Spreco del tempo, del denaro, delle materie prime, dello spazio e del lavoro umano.
"Quello che un mio amico manager americano chiama il 'cammino della vergogna' portando i suoi collaboratori in giro attraverso l'impresa.
L'intervento è quindi proseguito con la lettura di alcune pagine del testo di Bonfiglioli relativo ai primi casi concreti di applicazione del LT in Italia e si è concluso con una domanda del Dr Pagliaro sui motivi del crollo della Fiat, il cui management pure, già negli anni '80 si era dichiarato entusiasta della qualità totale.
"Penso veramente -- ha risposto Bonfiglioli -- che qui ci sia una connotazione culturale negativa, e certamente un difetto di comunicazione da parte dell'azienda.
"Io posseggo un'Alfa Romeo analoga ad una Mercedes Benz che molti miei amici posseggono. Ma quando in Emilia le strade sono ghiacciate, la mia auto circola senza problemi mentre loro devono lasciarla a casa.
"Eppure, tutti pensano che le auto fatte a Stoccarda siano molto migliori di quelle prodotte ad Arese.
"Naturalmente, -- e lo vedete bene qui in Sicilia -- le conseguenze di questa connotazione culturale le paghiamo noi italiani in prima persona. Perché americani, tedeschi o francesi che siano i nuovi proprietari, all'occorrenza sceglieranno sempre di tagliare l'occupazione all'estero e mai nei loro Paesi".
Il libro Lean Banking di Mario Pagliaro.
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