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Ci siamo conosciuti per la tesi nel 1989/90 -- ha esordito Giancarlo Stocco, co-relatore con Lorenzo Pellerito della tesi di laurea in chimica di Gulì Sintesi di complessi organometallici con potenzialità di stacking intramolecolare --. Giancarlo era capace di tirar fuori cristalli da soluzioni che nessun altro era capace di far cristallizzare.
Laureatosi con la lode, iniziò subito il dottorato: parte del quale, fra il 1990 e il 1993,lo svolgerà a Leiden con Reeedijk. Quando l'ho incontrato a Firenze nel 2001, Reedjik aveva ancora un ottimo ricordo di Giancarlo.
Il lavoro di Carlo culminerà in cinque pubblicazioni fra il 1992 e il 1996 ed una, postuma, nel 2004.
Con i composti da lui sintetizzati, avevamo previsto di fare dei test antitumorali: e nel 2004 abbiamo ripreso i suoi composti di rame e platino e li abbiamo fatti condurre.
In breve, Giancarlo non è mai stato un semplice operatore di laboratorio.
"E perché?" Che cosa significa?"
Il tema degli organostannici esisteva a Palermo dai tempi di Renato Barbieri. Ora, Giancarlo era profondamente interessato agli aspetto biologici della chimica: aveva scelto di studiare anche biologia molecolare nel suo piano di studi; e con Reedijk aveva lavorato con i cis-platino.
Cercava una spiegazione sulla conformazione dell'imidazalio in un complesso del dimetilstagno. Ma quello che trovava particolarmente interessante era la natura cristallina del composto.
L'interazione fra le unità monomeriche è dovuta ai legami idrogeno che ne determinano la conformazione. I monomeri costituiscono una struttura supramolecolare -- oggi un termine comune che però lo era molto meno quando Carlo sintetizzò questi composti.
In definitiva se questi monomeri sono i building bocks della struttura: Quando, allora, otteniamo una struttura ordinata e quando una disordinata?
Se confrontiamo il complesso con la metilditionina si vede che in questo caso c'è un notevole disordine. Giancarlo mise in evidenza quello che poi per le proteine verrà confermato in modo completo. sono gli amminoacidi a dare la possibilità di predire la struttura. Se c'era un imidazalio, allora legami idrogeno e struttura; con le strutture idrofobiche della metionina, questa strutturazione diventava impossibile e la struttura risultava disordinata.
Oggi, questo ha portato alla ben nota tecnica IMAC (immobilizite metal ion affinity chromatography): sfruttando il fatto che le proteine formano legami con ioni metallici, se questi ultimi sono in fase solida, è possibile che con una proteina ricombinante o metionina o istidina, la proteina verrà bloccata in fase stazionaria e quindi separata dal resto della miscela.
Giancarlo Gulì sarebbe diventato un grande ricercatore, e certamente è stato il migliore allievo che io in 35 anni di carriera universitaria abbia mai avuto.
Durante l'occupazione della "pantera" del 1990, Giancarlo realizzò dei dipinti bellissimi sulle pareti bianche dell'Istituto di Chimica di via Archirafi.
Utilizzava il proiettore, e ha realizzato copie delle opere di De Chirico, o una bellissima "Guernica" di Picasso. Aveva una grande cultura e disponeva di una grande sensibilità: dopo l'occupazione lui venne a Farmacia e io fui fatto direttore del Dipartimento di chimica inorganica anche perché ero quello che aveva l'aria di passare di là; cioè di uno che era fuori da tutto.
Parafrasando Beckett, Ciancarlo intitolò "Aspettando... Stocco" il breviario che scrisse in tono semi-ironico con le numerose istanze degli studenti.
Quando poi ha cominciò ad occuparsi di biologia molecolare, realizzò diversi grandi poster -- di 2 metri per 1 e cinquanta -- in cui, con una precisione fantastica, Giancarlo riproduceva i principali cicli biochimici: la sua idea era che lo studio dovesse essere qualcosa di reale.
Uno di questi poster è nella stanza di mio figlio, che oggi è ingegnere chimico e fa ricerche in Germania al Max Planck.
Da questo punto di vista aveva la capacità di vedere al di là dell'aspetto materiale delle cose.
Giancarlo affrontava i problemi con serietà e senza lamentarsi; aveva un enorme capacità di organizzarsi in modo autonomo ed efficiente incentivando le discussioni verso le prospettive.
Quando lavorava con me, io accompagnavo i ragazzi a scuola nel centro storico di Palermo, che non è la mia città natale e che è decisamente trafficata; perdevo un bel po' di tempo, allora lui mi diede una mappa che aveva realizzato in cui era rappresentata la via più breve".
"Sono passati 10 anni -- ha detto quindi Mario Pagliaro del Cnr -- ma nessuno di noi, fra quelli che lo ebbero come amico e collega, riesce ancora a farsi una ragione di quel che accadde. Oggi possiamo e dobbiamo ricordarne l'amore per la vita, per la scienza e per l'arte. Ma anche quello per gli altri: parafrasando Capa, Giancarlo amava gli altri e glielo lasciava sapere; insieme andammo in giro per la Yugoslavia e di lui emergeva soltanto l'amore per la vita, per il mare e per le persone.
"Ricordandolo, abbiamo l'opportunità di farne un modello per i ragazzi che amano la chimica e che vorrebbero studiarla; ma che in Italia non si iscrivono più in un corso di studi che invece è pieno di un'autentica fascinazione che va ben al di là della pratica del laboratorio".
Vedremo di ricordarlo, anche al Cnr di Palermo, in un modo creativo e positivo come sarebbe piaciuto a lui".
"Le persone -- ha quindi detto Roberto Zingales del Dipartimento di chimica inorganica -- pensano che per noi docenti gli studenti siano come delle meteore che passano e vanno via. Non è così. Ho un ricordo nitido di Giancarlo Gulì e sono felice di poterlo ricordare dedicandogli questa lezione che ha per oggetto la scoperta del tecneto a Palermo.
Se per Lavoisier elemento era ciò che non era ulteriormente divisibile, ne consegue che non era possibile scoprire un elemento senza pesarlo e conservarlo.
Ma poi Bunsen osservò che lo spettro di assorbimento della corona solare aveva 2 linee sconosciute pensò che fosse un elemento e si chiamava elio. I chimici non gli credettero per molti anni.
Ma il processo non si arrestò; e dall'analisi per separare gli elementi si passò infine poi alla sintesi attraverso opportune reazioni nucleari.
Dalton associò il concetto di particella indivisibile -- con forma, dimensione e peso costante -- poteva spiegare la legge delle proporzioni multiple di Proust. Ma lui non aveva alcuna percezione della struttura associativa degli atomi -- la molecola --. Per cui, dare i numeri alla chimica con i pesi atomici non era ancora possibile come pure avrebbe voluto Kant.
Ma alla conferenza di Karlsruhe che nel 1860 riunì i migliori 150 chimici di tutto il mondo, il chimico palermitano Stanislao Cannizzaro dopo 3 giorni fece distribuire il sunto delle sue lezioni con cui insegnava ai suoi studenti di Genova a determinare i pesi atomici.
Mendeleev ne fu subito illuminato: "Considero Cannizzaro il mio vero predecessore".
Si convince dell'ordine periodico degli elementi, e invece di mettere elementi sbagliati al posto delle vacanze della sua Tavola Periodica, è in grado di mediare e prevedere i pesi atomici degli elementi dalla media degli altri.
Ora, il peso atomico era distribuito in modo abbastanza casuale: si tratta di numeri decimali. Ma Moseley si accorse che potevano essere divisi per 2 ed avevano un ordine come i numeri interi.
Riportando la quantità Q contro il numero d'ordine degli elementi, la sua deduzione fu che era un intero che coincideva esattamente con la posizione degli elementi nella Tabella Periodica.
A differenziare gli elementi -- ecco la scoperta rivoluzionaria di Moseley -- è la carica nucleare. Questo, fra l'altro, limita il numero degli elementi possibili: se ce n'è uno con numero atomico 1 non ce ne sarà un altro.
All'inizio gli elementi noti erano da 1 a 92, e ne mancavano 7. Che i chimici li trovassero!
Ora, la ricerca di nuovi elementi si eseguiva nei minerali contenenti elementi con caratteristiche simili.
Dalle righe di emissione e da una radioattività superiore a quella attribuibile alla presenza di elementi noti.
La pecblenda aveva una radioattività molto superiore all'uranio in esso contenuto: il polonio, il radon e l'astato. L'annunzio fu dato alla conferenza in cui Bohr si laureò Nobel (l'Afnio, Hf).
Si erano quindi esaurite le possibilità di trovare elementi in Natura. Bisognava accettare l'idea della prova indiretta e della sintesi nucleare.
Il tecneto e il renio erano stati previsti da Mendeleev. E ancora nel 1924 l'elemento 43 lo si voleva chiamare Moselio, in onore del grande Moseley prematuramente scomparso in guerra.
Dov'era?
Il Platinerz e la Columbite. Il primo contiene tutti gli azzurri e l'altro tutti i gialli, incluso l'uranio.
Il primo atto si svolge a Berlino dove Ida Tacke scoprì il renio (Rh) nella columbite. Nello spettro dei raggi X, lei e Noddack pensano di trovare le linee di emissione dell'elemento 43 e pubblicano la scoperta: affermando di aver trovato Masurio, dal nome dei laghi dove l'esercito russo fu debellato da quello tedesco nella Prima Guerra Mondiale.
Ma non riescono a isolarlo e si arrendono.
Il secondo atto si svolge con Emilio Segrè: il grande fisico romano vince la cattedra di Fisica a Palermo nel 1935 ("Palermo, dopotutto, non è poi come Sassari", dirà commentando l'abitudine dei "baroni italiani" di inviare i giovani più bravi in Sardegna, NdA). Subito, si lamenta della carenza di fondi.
Nel 1936 va quindi in visitare in California al laboratorio di Lawrence, dove c'è un acceleratore di particelle circolare con due elettromagneti roteanti in cui le particelle generate vanno a finire su un target.
Lawrence gli dà il permesso di raccogliere dei pezzi del ciclotrone dismessi; sono pezzi di rame ed ottone che si mette in tasca e porta a Palermo dove, gli dice, "la vetreria è così vecchia che era la stessa appartenuta a Cannizzaro!"...
A Palermo va da Carlo Perrier -- chimico docente all?Istituto di Mineralogia -- e gli porta i due campioni. Trovano allora una notevole quantità di fosforo 32 e gli viene l'idea di usarlo per lo studio del metabolismo dei fosfolipidi con Israele Camillo Artom, fisiologo docente a Palermo che poi assurgerà a fama mondiale.
Nel gennaio '37 riceve una lettera da Lawrence con un altro pezzo di ciclotrone di molibdeno.
Insieme a Perrier, Segrè conduce un'analisi straordinaria di chimica qualitativa che li porta ad isolare una soluzione di elemento 43, circa 10-10 g. Una quantità così bassa che non se ne può fare nemmeno l'analisi ai raggi X. Presentano i risultati sul J. Phys. Chem. del settembre 1937. Quindi Segrè va da Noddack e gli chiede le lastre dalle quali lui aveva detto di aver trovato lo stesso elemento: Ma Noddack glissa, "le lastre" gli dice, "si sono perdute".
E dopo pochi mesi Noddack viene a Palermo e interroga Segrè con un codazzo di assistenti.
Giunto per lavoro in America, nell'estate del '38 Segreè compra un giornale e trova che l'Italia si è data le infami leggi razziali: ai cittadini ebrei vengono ristrette pure le poche libertà concesse dal Fascismo, fra cui quella di insegnare all'Università.
Segrè chama la moglie: prendesse il bimbo e lo raggiungesse in America.
Poco dopo Seaborg trova la linea di emissione e conferma il trovato di Segrè. Il tecneto è l'unico elemento scoperto in Italia.
La comunità scientifica chiese a Perrier e a Segrè di dare un nome all'elemento: scartati quello di Trinacrio (per la Sicilia, cui Segrè e Perrier erano estranei), e pure quello "littorio" (il fisico palermitano Mario Orso Corbino obiettò ironico che era pericoloso chiamare come il regime un elemento dalla vita così breve...).
Segreè fu preciso: l'elemento si chiamerà tecnetos, cioè, in Greco, artificiale (1947).
Ed è interessante che Segrè stesso ci teneva che fosse chiamato tecneto e non tecnezio.
R. Zingales From Masurium to Trinacrium: The Troubled Story of Element 43 (2005); G.B. Kaufmann, More on Element 43 (settembre 2005).
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