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Straordinaria
giornata di studi il 26 marzo 2007 al Cnr di Palermo in occasione della IV
edizione del seminario dedicato a Marcello Carapezza.
Introducendo i lavori, Mario Pagliaro ha sottolineato come sia particolarmente gratificante che nel ventesimo anniversario della scomparsa di Marcello Carapezza, il Seminario a lui dedicato riguardi quest'anno il rapproto fra scienza e cultura. Un rapporto, ha detto ancora Pagliaro, che è stato al centro dell'intera attività professionale del professore Carapezza.
La giornata è stata aperta dal senatore Fabio Giambrone, segretario della Commissione "Ricerca" del Senato. «Sono particolarmente lieto di poter porgere il saluto mio e della Commissione Ricerca del Senato della Repubblica in occasione di questa giornata che vi vedrà impegnati prima con il seminario dedicato a Marcello Carapezza.
«Vi ruberò solo pochi attimi.
«Come sapete, i giovani
laureati italiani affollano i migliori dipartimenti scientifici
internazionali. Per un loro ritorno in Italia, ci si affida
giustamente a programmi governativi di finanziamento e al rilancio della
spesa pubblica e privata per le attività di ricerca; oltre che
all’introduzione di un sistema di selezione basato finalmente sul merito.
«Noi ci stiamo provando. Come sapete, il ministro ha promesso consistenti aumenti delle risorse pubblihe per l’anno prossimo. Ed è ormai pronta a partire – dopo vent’anni che se ne parlava senza esiti -- l’Agenzia di valutazione della ricerca.
Ma c’è un altro modo per creare un rinnovato interesse per la professione scientifica e per far sì che siano i laboratori e i dipartimenti italiani ad attrarre giovani talenti dall’estero: ed è quello, a mio avviso, di coniugare la nostra tradizione culturale e scientifica con l’unicità della tradizione storica, artistica e paseaggistica dell’Italia, e della Sicilia in particolare.
«L'argomento del vostro incontro di oggi -- ha detto il sottosegretario all'Università e alla Ricerca, On. Nando Dalla Chiesa -- è di straordinario interesse. Per affrontarlo, io propongo uno degli approcci che mi sta a più cuore: quello del 'ritardo culturale'.
«La scienza, lo sappiamo, è il prodotto della cultura, ma ha un passo molto più rapido della cultura e della soceità. Così, la scienza finisce per operare da "apprendista stregone": incapace di controllare gli effetti delle sue creazioni. Questo costante ritardo è uno dei grandi misteri dello sviluppo civile e sociale; ma noi dobbiamo attrezzarci per ridurre questo divario perché quando si esaspera abbiamo a che fare con effetti perversi.
«E state attenti che quella del ritardo culturale non è una teoria che si può adattare alle società più arretrate, ma si applica con successo alle più evolute e raffinate delle società occidentali. Sono quindi particolarmente lieto che questo sia il tema di un seminario così importante come quello che organizza oggi il Cnr».
«Il miglior modo di comprendere la situazione
attuale della scienza -- ha esordito Lévy-Leblond, emerito dell'Università
di Nizza e maggiore epistemologo vivente -- è senza dubbio quello di
tornare sul cammino percorso in qualche decennio.
«Se provo a rimettermi nella posizione del
giovane ricercatore che ero trent’anni fa, resto sgomento dall’ottimismo
del tempo. Noi non dubitavamo né che la scienza potesse risolvere nel
breve termine le serie difficoltà teoriche delle sue discipline di punta
come la fisica delle particelle, né che essa avrebbe risolto i gravi
problemi concreti dell’umanità, ad esempio in tema di salute (era l’epoca
del programma nixoniano della “guerra contro il cancro”); e ancor
meno dubitavamo che il suo sviluppo sarebbe continuato con risorse umane e
materiali sempre più ampie.
«Oggi bisogna riconoscere come tutte queste attese sono state vanificate. La scienza soffre d’una forte perdita di credito, in senso proprio come in senso figurato: il suo sostegno politico ed economico, come la sua reputazione intellettuale e culturale conoscono una grave crisi.
«Davanti alle incertezze che pesano sull’avvenire della scienza, si susseguono le deplorazioni e le lamentele che ne attribuiscono la responsabilità tanto ai dirigenti politici che non comprenderebbero (più?) l’importanza della ricerca fondamentale per lo sviluppo economico, che al pubblico profano che si sarebbe ormai infatuato di una vaga ’“antiscienza” e dell’irrazionalismo che minacciano il posto delle conoscenze scientifiche nella nostra cultura.
«E’ dunque divenuto frequente ascoltare gli
ardenti sostenitori di uno sviluppo più ampio e più coerente della
“cultura scientifica” o, nel mondo anglo-sassone, della “public
understanding of science”. Tutto a un tratto, ci comportiamo come se
fosse in gioco in questa questione una pura questione di comprensione
delle conoscenze: “public understanding” ; detto in altre parole, ci
persuadiamo che se la massa dei nostri concittadini non approvano e
non appoggiano più abbastanza (rispetto a prima) lo sviluppo della
scienza, ciò è dovuto al fatto che non la comprendono. Ma forse
faremmo meglio a comprendere che non si tratta soltato di una questione di
sapere, ma prima di tutto di una questione di potere.
«I nostri concittadini non si preoccupano soltanto di comprendere le manipolazioni genetiche o l’energia nucleare, ma vorrebbero avere la sensazione che possono agire sul loro sviluppo, scegliere gli orientamenti della ricerca, esercitare cioè il loro potere di decisione sullo sviluppo della tecnoscienza. Detto in altro modo, la questione che si pone non è nulla di meno che la possibilità di un’estensione della democrazia alle scelte tecniche e scientifiche — di cui bisogna pur riconoscere che si sottraggono largamente alle procedure democratiche .
«La
mia seconda perplessità è questa: nel mettere l’accento sulla “public
understanding of science”, noi lasciamo automaticamente credere che vi sia
da un lato il pubblico, i profani, coloro che non sanno, e dall’altro lato
noi, gli scienziati, quelli che sanno — i “sapienti”, come si diceva una
volta e come si pensa ancora, anche se non si osa più dirlo. Ora, una
delle caratteristiche profonde della situazione attuale è che questo
iato non esiste.
«Noi scienziati non siamo fondamentalmente
diversi dal pubblico, salvo che nel dominio di specializzazione
estremamente ristretto in cui operiamo.
«Di fronte ai problemi delle manipolazioni
genetiche o della clonazione, ad esempio, io sono esattamente — o
quasi esattamente — nella medesima situazione di un profano. Lo stesso nel
caso dell’energia nucleare, la mia competenza professionnale di fisico, se
da un lato mi permette di apprezzare i pericoli della radioattività, non
mi chiarisce certo i rischi delle centrali nucleari industriali, che sono
sono questioni di idraulica e di cemento più che di struttura del nucleo
atomico!
«Bisgona finirla con questa rappresentazione ereditata dal diciannovesimo secolo secondo la quale ci sarebbero da un lato gli scienziati muniti di un sapere generale e universale, e dall’altro un pubblico ignorante e indifferenziato al quale si dovrebbe trasferire questo sapere . Noi, gli scienziati, dobbiamo cominciare a fare atto di modestia, e riconoscere che i nostri saperi sono fortemente limitati.
«Ma la cosa più grave forse nel processo di
de-acculturazione della scienza si situa all’esterno della ricerca
scientifica, all’interfaccia fra il milieu scientifico
propriamento detto e la società in senso lato. In questo campo, mi
accontenterò di fare qualche esempio particolare, ma facilmente
generalizzabile. Poiché parliamo di cultura, dunque di memoria, senza
dubbio bisogna, in questo inizio di secolo, far ritorno al passato e non
dimenticare certi discorsi tenuti dagli scienziati.
«Noi, i fisici, abbiamo un certo vantaggio
sui ricercatori di altre discipline, in particolare i biologi, che oggi
occupano il primo piano nella ricerca. Vale la pena, in particolare,
rileggere ciò che alcuni fisici avevano promesso alla metà del ventesimo
secolo, e tracciare un parallelo fra gli annunci fatti a quell’epoca in
nome della fisica, e quelli fatti oggi dalla biologia.
«Veniva ad esempio predetta la sovrabbondanza e la gratuità dell’energia, grazie al nucleare. I giornali di divulgazione dell’epoca affermavano molto seriamente — sulla base delle dichiarazioni degli specialisti! — che prima della fine del secolo, ciascuno avrebbe avuto a disposizione un piccolo reattore nucleare domestico, incluso per la propria automobile (sic), che la fusione termonucleare sarà padroneggiata su grande scala ecc. Ne siamo evidentemente ben lontani.
«Per venire alla biologia, bisogna rileggere i proclami fatti al volgere degli anni ’60 al momento del grande programma Nixon della “guerra contro il cancro” e constatare, anche qui, che quaranta anni dopo il problema è lontano dall’essere risolto. Quanto alle prospettive abbondantemente sviluppate oggi delle terapie geniche e altri miracoli della bioingegneria futura, qualche prudenza sembra essere opportuna. la società guarda alla memoria delle promesse fatte dalla scienza e non può che constatare il loro carattere spesso fallace.
«Si vede dunque che le debolezze della scienza contemporanea riguardano non solo la sua salute epistemologica ma anche la sua dimensione etica. Anche la situazione attuale richiede una modifica profonda delle pratiche della ricerca — della professione scientifica. Diventa allora urgente ricomporre i mestieri scientifici, di riattribuire a ciascuno il compito di produrre del sapere e di condividerlo. Serve quindi che la formazione di questi scienziati li metta in grado di adempiere ad questi altri compiti. E ancora serve che non confondiamo la condivisione del sapere scientifico con la promozione d’immagine del marchio della scienza. Poiché molte delle iniziative di diffusione scientifica, in partenza perfettamente lodabili, condotte oggi nel nostro Paese ma anche a livello europeo, tendono ad avere un aspetto essenzialmente apologetico e propagandista.
«Non può esserci un’autentica “messa in cultura” della scienza che non metta al primo posto il suo aspetto critico. Ma prima di tutto, ci serve mettere a punto degli strumenti nuovi di formazione dei ricercatori in modo da tale da riconnetterci con le antiche pratiche negli altri domini. I compiti con i quali devono confrontarsi oggi nella pratica del loro mestiere, e le responsabilità sociali che non possono più ignorare, richiedono ormai che essi abbiano una concezione vasta dell’attività scientifica.
«Ora, l’Europa è particolarmente ben
predisposta da questo punto di vista . E’ una specificità della
cultura europea quella di avere un accesso immediato ad un passato ancora
fecondo che non hanno o più delle società di oltre-Atlantico o
d’oltre-Pacifico. Questa fecondità e questa complessità che fanno la
nostra ricchezza, io le risento per esempio ogni volta che vado a Roma,
andando subito a salutare Giordano Bruno al Campo dei Fiori, prima di
recarmi a Santa Maria degli Angeli: è nel 1600 che Bruno è stato bruciato
dall’Inquisizione, ma un secolo dopo, nel 1700, la Chiesa fa tracciare sul
pavimento di Santa Maria degli Angeli una superba meridiana, che è uno dei
grandi strumenti dell’astronomia di quest’epoca.
«Abbiamo là sotto gli occhi un esempio della complessità storica dei rapporti fra scienza e società. Chi passeggi sulla gran piazza di Praga e vi incroci Keplero, Boltzmann e Einstein, o vada a Parigi dalla tomba di Cartesio a Saint-Germain des Prés al laboratorio dei Curie sulla montagna Sainte-Geneviève passando dall’École polytechnique e dall’École normale supérieure e dopo dal Panthéon e dal suo pendolo di Foucault, fa un’analoga esperienza.
«E quale luogo -- ha concluso Lévy-Leblond -- più emblematico ancora di questa Sicilia, ombelico del mondo mediterraneo, dove Archimede abita ancore le rovine dell’antica Siracusa, dove Federico II si nutriva della cultura araba e ne condivideva le matematiche con Leonardo da Pisa, alias Fibonacci, dove visse Majorana, e dove voi create oggi questo istituto innovatore, che, a sì giusto titolo, vuole coniugare la ricerca scientifica con la riflessione sui suoi metodi e la sua etica?».
«Per chi cerca di fare informazione su cultura e scienza attraverso i giornali -- ha aggiunto il giornalista de Il Sole 24 Ore Armando Massarenti -- non si tratta davvero di un compito facile. Tuttora lo spazio dedicato dalla stampa italiana a scienza e filosofia è pressoché inesistente. La cultura italiana è largamente antisicientifica, per cui dedicarvi una pagina come fa Il Sole 24 Ore della domenica significa fare una cosa contro corrente. A differenza del pregevole inserto settimanale "Tuttoscienze" de La Stampa noi mettiamo dunque la scienza all'interno della cultura.
«Una delle argomentazioni che si avanzano per giustificare questa situazione è che la scienza sarebbe complessa. Ma poi accanto alla pagina con l'articolo dedicato alla scienza trovate una pagina di letteratura complicatissima, piena di raffinati riferimenti noti ad una ristretta élite di lettori!...
«Nel dibattito pubblico italiano non è mai chiaro il ruolo degli scienziati. In America o nel Regno Unito c'è un panel di scienziati che vengono consultati dai Governi di quei Paesi ogni volta che desiderano conoscere l'opinione su un determinato tema della comunità scientifica. In Italia no. Il clima è molto pesante. Come prova ad esempio la composizione del Comitato nazionale di bioetica, fatto da uno scienziato e da venti fra giuristi, filosofi, sociologi eccetera eccetera.
«Io sono d'accordo puntualmente con la relazione di Lévy-Leblond: noi non siamo scientisti, ma in Italia c'è una situazione particolarmente difficile. Da noi, l'etica è vista come antitetica alla scienza.
«Per fare un solo esempio, quello del referendum sulla fecondazione assistita. L'Accademia dei Lincei ha impiegato 6 mesi a produrre un documento condiviso, peraltro assai prudente. Alla presentazione si è alzato dal pubblico una persona e ha gridato: "Nazisti!". Oppure l'incredibile vicenda della commissione sull'evoluzionismo presieduta da Rita Levi Montalcini nominata dal precedente Governo. Come se ancora ci fosse bisogno di discutere la scientificità della teoria evoluzionista. Avrebbero potuto nominare anche me perché non c'è veramente nulla da discuetere.
«Dopo mesi di lavori, la Commissione ha prodotto un documento che ancora oggi giace nei cassetti del ministero. Appena ricevuto al Ministero, qualcuno ha cominciato a modificarlo apportando le correzioni di proprio pugno come abbiamo visto su Micromega che lo ha pubblicato con le correzioni. Questa incredibile vicenda è emblematica del clima che si respira in Italia attorno alla scienza.
«Lo stesso modo in cui Feyerabend -- cui voi intitolare il vostro Master -- è stato divulgato in Italia lo dimostra. Il pensiero di Feyerabend, che pure è di enorme profondità, è stato banalmente strumentalizzato come antiscientifico. Noi invece dobbiamo dare dignità sociale alla scienza. Trasmettere alle classi dirigenti che si tratta di un'attività intellettuale meravigliosa che ci svela le origini di innumerevoli fenomeni e ci fornisce soluzioni a problemi pratici con i quali pure dobbiamo fare i conti.
«Certo, per tornare a Lévy-Leblond, bisogna smetterla con l'idea che gli scienziati siano i sapienti e i profani un insieme di ignoranti da acculturare. Eppure, pensateci: basta dire "Cibo di Frankenstein" perché la gente capisca che si tratta di veleni preparati dagli scienziati in laboratorio. Di nuovo, è l'idea socialmente condivisa che la scienza sia una cosa pericolosa da controllare e da cui difendersi. Quindi, occorre fare un lavoro molto più creativo -- come dice Lévy-Leblond -- per comunicare il senso dell'impresa scientifica; e non solo per informare il pubblico.
«Infine, vorrei lanciare un appello perché si inseriscano i classici della scienza fra i classici da leggere per tutti gli studenti. Rileggere oggi Galileo -- che fu oltre che un immenso scrittore -- servirebbe a tutti. Oppure penso a Poincaré e al suo La Scienza e l'ipotesi: un libro meraviglioso che mostra chiaramente come la scienza sia in realtà un grande serbatoio di classici da riscoprire».
Alle relazioni hanno fatto seguito le
osservazioni del pubblico. «All'Università -- ha detto quindi Marco
Carapezza dell'Università di Palermo -- abbiamo adottato i
numerini per le riviste e puntato sulla produttività. Ma Hegel in vita sua
scrisse quattro libri; e Wittgenstein, uno. Per difendere la scienza noi dobbiamo
illustrarla.
Noi abbiamo adottato il criterio che la filosofia sia argomentativa; cioè insistiamo con gli studenti che i loro scritti siano comprensibili e dunque criticabili come avviene agli articoli scientifici. Ma non tutti fra noi adottano questi criteri: ed esistono testi filosofici che semplicemente non si comprendono. Certo, non dobbiamo essere scientisti. Ma come commentare il fatto che in questo Paese un grande partito nazionale adottò -- semplicemente adottò -- la cosiddetta "cura Di Bella" dei tumori senza che essa avesse alcun fondamento scientifico? Se una cosa come questa è potuta accadere, capiamo chiaramente quale sia lo status e la credibilità pubblica della scienza nel nostro Paese».
«Dobbiamo far rientrare la scienza nella cultura -- ha aggiunto Arturo Russo, docente di fisica dello stesso Ateneo -- tenendo presente che in Italia non esiste nemmeno una cattedra di "Politica della Scienza". In Francia, ad esempio, esistono interi istituti che sono in grado di elaborare proposte e analisi che poi orientano le decisioni politiche tanto nell'allocazione delle risorse che nella scelta dei programmi di ricerca».
«Abbiamo troppa fretta -- ha aggiunto il
docente di matematica Marco Pavone -- I nostri studenti vogliono
avere subito tutte le risposte e le cercano su Internet. Invece bisogna
fare passare nuovamente l'idea che lo studio e la scienza richiedono
tempi lunghi. Anni di studio e di dedizione al lavoro per
conquistare i risultati che a volte prendono un'intera vita
professionale».
«Ma è anche una questione di linguaggio, ha replicato Leonardo Palmisano, docente a Ingegneria. Dobbiamo essere in grado di usare un linguaggio semplice e accessibile. Per me, la scienza semplicemente coincide con l'etica. Sono molto drastico: quello che non è etico non è scientifico. Ma per esperienza personale, posso dire che ogni volta che siamo in grado di usare un linguaggio semplice e non per iniziati allora i ragazzi e le persone ci seguono. Capiscono quello che stiamo dicendo e facendo».
«Siamo
qui come facilitatori -- ha detto il sindaco di Bagheria Biagio
Sciortino --. Insieme ad una grande tradizione artistica, Bagheria
ne ha una grande anche in campo scientifico: il matematico Bagnara o
l'oculista Cirrincione, solo per citare due scienziati bagheresi. Abbiamo
voluto offrire una vetrina internazionale come Villa Cattolica,
sede del Museo "Guttuso", perché crediamo fortemente in questo progetto.
«E sono particolarmente contento che ci sia
qui Marco Carapezza -- figlio del
grande Marcello -- con il quale abbiamo spesso discusso tanto di Guttuso e
della sua arte che di sviluppo locale e cultura. Noi agiamo sempre come
facilitatori: abbiamo a Bagheria la sede di Metropoli con il quale, di
nuovo, agiamo per mettere in rete risorse, persone e conoscenze per creare
un territorio allargato capace di soddisfare meglio i bisogni della
cittadinanza e di aprire nuove prospettive di sviluppo.
«Entrare in rete con tutti e a ogni livello. Ringrazio il Cnr e il dottor Pagliaro per averci dato questa possibilità alla quale guardiamo con entusiasmo».
«Oggi -- ha aggiunto il vice presidente della
Confindustria per il Mezzogiorno, Ettore Artioli -- è diventato
imprescindibile dialogare con i soggetti capaci di creare innovazione,
come evidentemente fa il Cnr.
Purché credibile, ogni opportunità nuova è da
noi benvenuta: se riusciremo a strutturare meglio l'organizzazione
dell'innovazione, allora torneremo ad essere vincenti sui mercati
internazionali sui quali, evidentemente, non possiamo competere su costi
che da noi sono e resteranno incomprimibili.
«Per fare un esempio semplice ma importante:
se oggi voi trovate il cannolo siciliano negli aeroporti di tutto il
mondo, è perché sono riusciti a realizzare un sistema affidabile di
conservazione del gusto.
«Pensate invece a quanti prodotti enogastronomici della nostra terra non riescono ad accedere ai mercati internazionali solo perché non si è riusciti ad affianare le tecniche che consentono di conservara la freschezza del gusto originale».
Il Seminario "Marcello Carapezza" del Cnr.