Mario Pagliaro's Newsletter, 4 gennaio, 2007:

"Qualita' per le nostre imprese o non ce la faremo"

Sommario:
Il presidente degli industriali siciliani Ettore Artioli spiega perché le imprese siciliane debbano entrare in rete ed usare finalmente le vie del mare basando il loro vantaggio competitivo sulla qualità.

Incontro il nuovo presidente degli industriali siciliani Ettore Artioli all'inizio di dicembre nel suo nuovo studio all'11o piano del palazzone della Camera di commercio antistante il porto di Palermo. 

Artioli, palermitano, già imprenditore nel settore tessile e ora nel commercio, è in carica da 1 mese e mezzo ed è insieme carico di entusiasmo e disilluso ("l'interlocuzione è difficile, vado a Roma continuamente, ma qui vedo ancora una grande incapacità di programmare").

Succede nella carica al giovane ingegnere messinese Pippo Puglisi che molto si è impegnato in questi anni per un rilancio dell'imprenditorialità in Sicilia, ed occupa l'ufficio che fu di Domenico (Mimì) La Cavera, protagonista (con il sostegno dell'allora senatore comunista Emanuele Macaluso e del governo autonomista "rosso-nero" della Sicilia guidato dall'onorevole Milazzo), di uno storico "strappo" della Sicilia dalla grande industria e dalla grande politica nazionale. 

L'ingegnere La Cavera fu sconfitto ed espulso dalla Confindustria e la gran parte delle imprese siciliane divennero committenti del governo regionale, avviandosi ad un declino che all'inizio degli anni '90 -- con l'avvio del risanamento dei conti pubblici impostoci dal Trattato di Maastricht e con le condanne della magistratura seguite alle efferate stragi del '92 -- ha visto fallire in Sicilia migliaia di aziende a partire da quelle più grandi che lavoravano come appaltatrici dei lavori pubblici.

Moltissime però sono le nuove imprese registrate nelle 9 Camere di commercio della più grande isola del Mediterraneo che con i suoi quasi 26mila kmq e' anche la più grande regione italiana ed è ricca oltre che di una grande e diffusa industria agricola in forte ascesa, anche di vaste ricchezze naturali come le ricchissime miniere di sali potassici ad Enna, o i giacimenti di petrolio e gas naturale al largo delle sue coste meridionali ampiamente sfruttati dall'Eni. 

Nominatovi dall'allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando, Artioli ha condotto per 8 anni da presidente l'Azienda di igiene ambientale pubblica di Palermo (AMIA) trasformandola in un'impresa capace di far costruire l'unico termovalorizzatore siciliano del gas metano sviluppato dalla grande discarica di Palermo; di recuperare a verde le vasche esaurite e di scavarne altre in una Regione che di fatto è priva di discariche legali; ma anche di rendere finalmente pulita una città che offre 1000 km lineari allo spazzamento (avendo Palermo 650mila abitanti e un'estensione geografica in stile Los Angeles, più che Firenze, con decine di migliaia di appartamenti vacanti nei casermoni costruiti durante il "sacco di Palermo" svoltosi indisturbato per trent'anni dalla metà degli anni '50 agli anni '80).

Lasciata l'AMIA,  oggi trasformata in società per azioni e ambitissima da ex municipalizzate del nord Italia come dalle partecipazioni statali francesi che nel Sud hanno da alcuni anni intrapreso l'acquisizione dei servizi pubblici, Artioli è giunto alla guida degli industriali siciliani dopo avere guidato a livello nazionale i giovani industriali associati in Confindustria.  

Già l'edificio dov'è ospitato, che pure ha rifatto l'illuminazione esterna, conserva tutto il sapore di obsolescenza degli anni '50 ed esprime in silenzio la necessità generale della Sicilia di darsi una nuova classe dirigente, e innanzitutto di una nuova classe imprenditoriale. Come lui stesso mi conferma.

foto di Ettore Artioli, nuovo presidente degli industriali sicilianiPresidente Artioli, lei è d'accordo che la qualità è l'elemento su cui si basa la competizione, immagino, da giovane imprenditore: che cosa si propone di fare per migliorare la qualita' dei prodotti e dei servizi delle imprese siciliane? 

Intanto la precisazione, non più da "giovane imprenditore". Ormai devo rassegnarmi all'anagrafe e al mio nuovo ruolo di essere chiamato a rappresentare le imprese siciliane. Probabilmente, bisognerebbe puntare sull'impresa siciliana giovane non in senso anagrafico ma in sotto il profilo della capacità di attenzione ad un certo percorso imprenditoriale: giovane nel senso di volontà, di dinamismo, della capacità di stare sui mercati; giovane nel senso della volontà di ricercare nuovi prodotti o quelle caratteristiche dei prodotti che possano dare un vantaggio competitivo alle nostre imprese rispetto a quello che il consumatore si attende di trovare sul mercato. Su questo, la Sicilia è sempre stata letteralmente indietro, forse, una delle ultime ruote del carro: un'economia povera, una scarsa attenzione al cliente e alle sue esigenze, una scarsa ricerca delle novità da introdurre sul mercato ha mortificato le capacità dell'impresa siciliana. 

Mi faccio la domanda: Perché?

Perché storicamente l'impresa siciliana e' stata legata a meccanismi che hanno voluto come principale cliente la committenza pubblica; come principale mercato, il mercato locale. E come conseguenza di queste direttrici di politica abbiamo una politica degli imprenditori miope ma anche -- non dobbiamo nasconderci dietro un dito: della loro rappresentanza -- che essendo stati abituati a strappare e a contraffare spazi di mercato, che poi è un mercato fra virgolette, attraverso legami con la politica e la pubblica amministrazione, non ha mai guardato al mondo e rispetto ai problemi posti dalla globalizzazione non ha chiaro che questa riguarda la vita quotidiana delle imprese.

Le faccio quindi una domanda mirata: il rapporto fra Internet e le imprese. Questa tecnologia che consente di raggiungere il mercato mondiale a costi irrisori e senza intermediari. Lei ritiene che questa opportunità sia stata accolta come meritava, e che Internet sia usata in modo adeguato oppure che ci siano enormi spazi di miglioramento? 

Io ritengo che sia stata enfatizzata negli anni passati la necessità di avere Internet nelle imprese. E forse a questo in Sicilia si è arrivati senza quelle fatiche invece erano state fatte per altre occasioni. Nel senso che la gran parte delle imprese usano ormai lo strumento di Internet. Usarlo, naturalmente, non significa apprezzarne a pieno tutte le potenzialità. Però rispetto ad altri strumenti innovativi è stato molto più rapido ad affermarsi: oggi un biglietto da visita senza un indirizzo email quasi mortifica chi lo abbia fra le mani; e lo vediamo anche qui con la notevole riduzione della posta che riceviamo oppure con quella degli stessi fax. Credo che oggi le imprese abbiano cominciato ad avere confidenza con Internet ma che limitino questa confidenza essenzialmente alla comunicazione e non certo come un volano o come potenziale di crescita per lo sviluppo dell'intera impresa. 

Per farsi conoscere le imprese meridionali devono passare attraverso la pubblicita' che in Italia è fatta essenzialmente dalla concessionaria dell'avvocato Agnelli (la Publikompass) e da quella del cognato di Agnelli (la Manzoni pubblicità), per quanto riguarda la carta stampata. E dalla Sipra della Rai e dalla Pubblitalia di Mediaset per quanto riguarda la televisione. Lei ritiene che in qualche modo queste imprese abbiano frenato lo sviluppo delle imprese meridionali facendo da freno ad una loro migliore conoscenza da parte dei consumatori?

Credo di no. Nel senso che non sono gli strumenti, le società o le agenzie che gestiscono il mercato pubblicitario o hanno il monopolio o l'oligopolio della pubblicità quello che ci limita; ecco probabilmente, è vero esattamente il contrario; foto di Antonello Perricone, il manager palermitano che ha guidato la Sipra, concessionaria pubblicitaria della RAI nel senso che -- si parlava di Internet -- le modalità di stabilire relazioni sono delle più differenti. In realtà poi, tanti prodotti non cercano la visibilità sui quotidiani o in Tv ma sulle riviste specializzate dove la proprietà è più frastagliata. Credo che invece un nostro grande limite sia quello di rivolgersi ai mercati tradizionali, mentre è nei mercati tradizionali assai meno coperti dagli oligopolisti che si offrono le maggiori opportunità.

Un'altra domanda riguarda l'euro. Con il Trattato di Maastricht come sappiamo l'Italia ha aderito definitivamente alla moneta unica europea e questo non ci da' piu' la possibilita' di svalutare la lira e di trarre da questo vantaggi nelle esportazioni: Le imprese italiane sono rimaste sole a competere sulla base della qualita' visto che sui costi non possono. Eppure da almeno 5 anni proprio nel Sud si assiste ad un costante aumento del numero di imprese: Lei come lo spiega?

Intanto, cambiano i tempi, cambiano i meccanismi e per fortuna cambiano anche gli strumenti far fronte alle esigenze. Non abbiamo ancora somatizzato l'euro e non sappiamo cosa sarebbe stato senza euro. La cosa certa è che i meccanismi legati alle svalutazioni della lira portavano benefici immediati alle esportazioni e danni all'economia del Paese rinviando i problemi e problemi sul medio termine. Il debito pubblico era una panacea con la quale i problemi venivano rinviati. Riguardo alla crescita delle imprese, io mi auguro che da un approccio scettico-negativo si passi a chiederci come fare crescere questi numeri ulteriormente. Dietro questa crescita c'è un piccolo salto culturale: si comincia a vedere l'impresa non più come un male cui non potersi sottrarre, ma una scelta quasi obbligata quando il settore pubblico ha smesso di esercitare la forte attrattiva degli anni '70 e '80 sulle migliori risorse anche per la nostra cultura di meridionali -- con la certezza di portare a casa quanto serviva per la famiglia con un lavoro nel pubblico oppure nel settore bancario. Oggi che questa certezza non c'è più, l'arte di arrangiarsi diventa la partita IVA, e questo potrebbe spiegare tale incremento.

L'utilizzo delle vie del mare, le autostrade del mare. Il Suo Ufficio e' di fronte al porto di Palermo che, come quasi tutti gli altri in Italia, ha visto una forte crescita negli ultimi anni. Lei pensa che il mare, l'utilizzo crescente delle sue vie, possa rappresentare un volano per tutta l'economia italiana

Intanto va detto che oggi il trasporto marittimo e' enormemente evoluto rispetto a solo 10-15 anni e i tempi si sono abbattuti; è banale ricordarlo: ma le modalità con cui le merci sono trasportate, quelle di scarico e carico e poi di inoltro delle merci e consegna si sono talmente evoluti da consentire questo abbattimento dei tempi. E il trasporto via mare né le strozzature né le incertezza del trasporto su gomma che continua a fare la parte del leone né i costi quasi proibitivi del trasporto aereo. Foto del Porto di Gioia Tauro in Calabria, rapidamente divenuto il I terminal porta container del Mediterraneo  

Il problema è che noi vogliamo spesso farci da periferia centro; io dico invece che dovremmo diventare "satelliti interessanti" di un sistema di trasporto navale i porti di Palermo, Catania e Siracusa creando una rete interessante. Avere una mappa critica dei trasporti di merci da trasportare perché anche i nostri porti diventino punto di riferimento del trasporto navale delle merci. Perché c'è poco da fare: finché per le singole destinazioni non si avrà una quantità di merci sufficiente da inviare, non potremo chiedere le vie per mancanza della quantità sufficiente. Bisogna essere più attenti e fare uno sforzo fra i produttori per mettersi in rete e creare questa domanda.

Senta, gli istituti di ricerca lamentano  una cronica mancanza di fondi; le imprese si lamentano perché non ricevono aiuto da parte degli istituti di ricerca a fare quella innovazione di prodotto che serve a competere sul mercato globale in cui l'obsolescenza dei prodotti diventa rapidissima. Come spezzare questo circolo vizioso?

In realtà a mio avviso le imprese più che lamentare una mancanza di attenzione, non prestano abbastanza attenzione all'innovazione. Spesso -- e specialmente in questo periodo di crisi economica contigente -- gli imprenditori presi dalla battaglia quotidiana con le difficoltà quotidiane, le difficoltà logistiche-territoriali e dalla battaglia con la burocrazia rischiano di perdere di vista l'obiettivo che non è quello della gestione, ma e' la mission aziendale. Finché gli imprenditori saranno distratti da queste istanze, non potranno dedicarsi a capire quello che l'impresa sarà domani e dopodomani.

Dedicarsi alla ricerca, allo sviluppo di nuovi prodotti, alla modalità di aggredire i mercati, a come essere più competitivi domani rispetto ai propri competitors è qualcosa che richiede la necessità di astrarsi dalla gestione quotidiana per guardare lontano invece che lavorare da capostruttura. Dobbiamo prima attendere che l'impresa faccia un salto di qualita'  e poi questo rapporto potrà consolidarsi. E' chiaro però che dobbiamo lavorare tutti insieme perché questa visione di corto respiro cessi il più rapidamente possibile.

Un bilancio del nuovo Governo regionale. Come sappiamo, con la nuova legge elettorale il presidente del governo è eletto direttamente dal popolo e resta in carica 5 anni senza poter essere sostituito da uno dei cambi di maggioranza e dal classica mancanza di voti che ha visto in Sicilia 52 presidenti in 50 anni. La Regione è ancora interlocutore di primo piano delle imprese per i motivi che Lei ha detto: possiamo fare un bilancio dal punto di vista delle imprese dell'azione del nuovo Governo?

Io non credo che dobbiamo fare un bilancio. I bilanci si fanno alla fine di un percorso. Oggi noi ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo che e' ancora da rodare e da sperimentare: il governo regionale come quello nazionale sono governati da presidenti che hanno la possibilità di governare per 5 anni con continuità e di poter dare seguito al programma elettorale. Non dobbiamo però rischiare che avere un obiettivo di lungo termine faccia perdere di vista le esigenze di dare risposte continue e in tempo ristretti non soltanto a problematiche quotidiane ma anche strategiche. Il Governo regionale oggi e' vittima di 2 situazioni: la prima e' la disabitudine della politica regionale siciliana alla stabilita'; e quindi la coscienza di dare risposte alla fine di un percorso, mentre noi abbiamo bisogno di tante risposte concrete nei tempi intermedi mentre, probabilmente si dilatano i tempi. 

La seconda e' una situazione economica internazionale particolarmente penalizzante, una situazione economica italiana particolarmente penalizzante e una situazione economica siciliana ancor più penalizzata perché sono gli anelli della catena piu' deboli che si spezzano prima e sicuramente l'economia siciliana è uno degli anelli deboli. Per cui scarsa capitalizzazione delle imprese, scarsa attitudine a fare impresa, una cultura che in generale agisce contro l'imprenditoria portano l'imprenditoria ad aver se possibile ancora più bisogno di un governo i cui interventi siano più rapidi, più incisivi; di un governo che sappia guardare lontano. Mentre interessi di corto respiro, di nessuna valenza né strategiche né imminenti e che però appassionano di più il politico perché prima è possibile dare una risposta e prima è possibile coglierne in frutti in termini di consenso. Il guaio è che tutta la società non stimola vero scelte strategiche delle quali invece certamente avremmo maggiore bisogno. 

Senta, la criminalità mafiosa in Sicilia: continua a rappresentare un limite così forte all'iniziativa imprenditoriale in generale? Sappiamo tutti dei problemi del racket, del "pizzo", delle minacce e della necessità cioè delle imprese di pagare per garantirsi la protezione dei mafiosi da furti e attentati. Tutto ciò rappresenta davvero un limite non superabile?

Ma io credo che siano due problemi di fondo. Il primo è di non ignorare la criminalità mafiosa che  certamente esiste. Il che non significa che ogni giorno dobbiamo riscontrare l'esistenza del fenomeno mafioso. 

foto di Diego Gambetta, il sociologo di Oxford ha spiegato la natura della mafia come industria della protezione privata Probabilmente però i dati sono eccessivi: tutte le imprese siciliane pagherebbero il pizzo? E' possibile, non mi sentirei di escluderlo: però devo chiedermi come, e dovrebbero farlo in tanti, le uniche eccezioni sono quelle che io conosco. Sicuramente esiste un fenomeno sul quale da anni il livello di attenzione è alto il livello di guardia,  e ci sono nuovi strumenti per la lotta alla criminalità organizzata e diffusa. 

Mi permetto di dire che non c'è un maggiore tributo alla criminalità delle imprese in Sicilia. Se guardiamo al numero di scippi e rapine che ci sono in Sicilia, questo è più alto rispetto a quelle che avvengono altrove. Allora, mi chiedo: è probabile che il fenomeno sia descritto in modo enfatizzato rispetto a quello reale? Forse dovremmo abituarci a non dare enfasi a questo problema; e pensare che invece è forse, è la cultura del siciliano che ciascuno di noi continua ad avere che determina atteggiamenti e comportamenti che spesso non vengono visti come sereni o trasparenti. 

Ora, in parte si tratta del retaggio borbonico che noi meridionali ci portiamo ma poi bisogna anche dire che la lealtà, l'impegno, l'orgoglio, il senso dell'onore che ci sono propri sono valori positivi e che dovremmo essere capaci di usare per renderli vantaggi nella competizione internazionale in cui valgono regole generalmente condivise allo stesso livello internazionale.

Leoluca Orlando li chiama i "versetti satanici" di cui è vittima la Sicilia: fare male di ciò che è bene. E lui ha dato un contributo enorme alla liberazione dei siciliani ad affrancarsi e separare la idea di siciliano e mafioso. Eppure anche il corrispondente di Mediaset dalla Sicilia, Salvo Sottile ci è venuto a raccontare al Quality College che le uniche cose della Sicilia che interessano al direttore del TG5 sono "la mafia, l'Etna e le storie di passione che si concludono in tragedia". Lei non pensa che sarebbe opportuno avviare una campagna comunicativa, anzi di relazioni pubbliche, per cambiare questo stereotipo che pure vediamo resistere in un giornalista giovane come Mentana?

Il problema è: dobbiamo lasciarci travolgere dagli stereotipi -- o dalle necessità, perché sono necessità -- dei giornali? Che cos'è la Valtellina? La Valtellina è inondazioni e frane. Noi pensiamo che si tratta invece di una delle zone del Paese con piu' alta densita' d'imprese del Paese? Questo lo trascuriamo. 

Che cos'è Mestre? E' aziende che inquinano e una circonvallazione, un passante autostradale,  eternamente intasato. Ma quanti sono gli elementi di valore di Mestre? Quali sono i motivi per cui Mestre è comunque cresciuta a dismisura per dare risposte ad esigenze di terraferma che Venezia comunque non potrebbe soddisfare?

Che cos'è la Valle d'Aosta? La Valle d'Aosta è ricchezza, è Natale, sciare, è struscio di pellicce che vediamo sfilare durante i servizi giornalistici sul Natale. Questa è la caratterizzazione di qualsiasi terra. E l'oceano atlantico? Se ne parla soltanto se naufraga qualche navigatore solitario o se affonda qualche petroliera.

Non possiamo lasciarci guidare da queste cose. A tutti noi capita ogni tanto di parlare coi giornali. Se il giornalista ci è amico, ci chiede subito qual'è la notizia, e di non fargli perdere tempo. Se noi organizziamo un grande incontro sereno, pacifico e propositivo che si concluderà dando luogo a grandi impegni per nuovi progetti facendo nascere una grande sintonia, quello non sarà degno nemmeno del cestino del giornale. La televisione, i giornali hanno bisogno di notizie. E la notizia è quasi sempre negativa.

Sicuramente. Eppure mi risulta personalmente che ci sono imprenditori del Nord che si rifiutano di investire al Sud come Della Valle in Calabria in un'azienda delle calzature, invocando come giustificazione proprio la criminalità....

Una campagna di comunicazioni contraria avrebbe effetti contrari a quelli che si propone. La vera campagna di comunicazione la devono fare le imprese qualificandosi come partner di business. Non so quali ragioni possa avere il signor Dalla Valle a non investire al Sud, non lo conosco e non conosco le sue motivazioni. Potrebbe trattarsi di mere considerazioni di carattere economico. Nel settore delle calzature e dell'abbigliamento, che si tratti di Roma, Pesaro o Catanzaro, certamente il costo del lavoro è così elevato da non renderci competitivi con l'Europa dell'Est o altre zone che ci mettono fuori mercato.

Voglio dire che a fronte di Natuzzi che ha sviluppato la sua multinazionale nel Sud abbiamo industriali del Nord che hanno investito volentieri nel Meridione o che lavorano in partnerhship con imprese del Meridione come hanno fatto i Benetton in Sicilia quando nel tessile conveniva e come fanno altri oggi. Abbiamo grossi investimenti delle imprese del Nord nelle public utilities e molto altro. Io ho l'impressione che sia comunque l'economia a determinare certe scelte. Certamente, noi dobbiamo fare proporci in modo doppio  rispetto ad un collega del nord per farci raggiungere risultati eguali.

Per saperne di più

I corsi di formazione manageriale del Quality Tour e il libro di Mario Pagliaro, Scenario: Qualità.


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