Newsletter di Mario Pagliaro, 13 febbraio, 2004:

"Una testa aperta e abbattere le rendite"

Sommario:
Francesco Giavazzi spiega al Cnr di Palermo come attaccare le rendite in tutti i settori che incentivano il nostro declino.

Francesco Giavazzi al Cnr di Palermo il 30 gennaio 2004Aperta dal titolare della cattedra di Economia politica dell'Università "Luigi Bocconi" di Milano Francesco Giavazzi la prima edizione del Seminario "Marcello Carapezza" dedicato dal Gruppo di ricerca di Mario Pagliaro alla memoria del grande geochimico siciliano.

Il Seminario ogni anno verrà tenuto da uno dei protagonisti della cultura italiana nello spirito dell'integrazione della scienza nella cultura che fu proprio di Marcello Carapezza.

Globalizzazione, Stati Uniti, Europa, Cina, Russia, Italia, Fiat, Pirelli, Benetton, informazione, vigilanza bancaria, ordini professionali, ricerca, università, Istituto italiano di tecnologia e apertura mentale dei giovani: un intervento memorabile nel segno della grande Scuola italiana di economia politica.

Le 3 grandi questioni del prossimo futuro

"Parlerò di cosa accade oggi in Italia. Vorrei però partire da 3 punti che mi sembrano fondamentali per capire quali problemi abbia di fronte a sé l'economia mondiale, per poi arrivare in Europa, e quindi in Italia; e magari, alla fine, a questo concorrente del Cnr, questo nuovo Istituto di tecnologia che partirà fra qualche mese.

Sono 3 le grandi questioni:

  1. la demografia
  2. il nuovo ventennio americano
  3. il futuro della globalizzazione

La demografia

Prendiamoli in ordine. La demografia perché se uno si chiede perché noi europei facciamo così fatica a crescere, al fondo c'è la questione della popolazione. Possiamo usare tutti i meccanismi che vogliamo, ma il futuro non è lieto per quelle regioni dove la popolazione non cresce.

I dati sono abbastanza impressionanti: Spagna, Germania e Italia hanno il tasso di fertilità femminile più basso al mondo: 0.9 contro i 2 richiesti ovviamente come minimo per la conservazione della popolazione. La Germania è addirittura sotto lo 0.9; la Spagna è un caso strano con una popolazione relativamente giovane ma ha smesso di crescere.

La Gran Bretagna ha un tasso di 1.95 molto vicino a 2, e gli Stati Uniti hanno 2.4 ovviamente influenzato dall'alto tasso di immigrazione: però ci sono tanti immigrati anche in Germania e lì la popolazione declina.

L'unico Paese in cui la politica è riuscita a fare qualcosa in Europa per invertire questa tendenza è la Francia dove le politiche di aiuto alla famiglia hanno fatto risalire il tasso di fertilità a 1.8; insieme alla Svezia dove il tasso che era precipitato negli anni '80 ha recentemente superato il 2.

Questo è importante capirlo perché senza la materia prima, e la materia prima sono le persone, non solo come numero delle persone che lavorano; e perché se nascono pochi bambini la probabilità che persone producano delle buone idee che poi fanno crescere il Paese si abbassa.

La seconda questione demografica da tenere presente riguarda la Cina dove la popolazione non cresce rapidamente ma ma c'è un problema di portare nel mercato del lavoro un numero di persone che è difficile da valutare ma che, guardando al settore dell'agricoltura, si stima fra 100 e 200 milioni di persone.

Portare nella forza lavoro 100 o 200 milioni di persone significa aggiungere al sistema produttivo mondiale una forza lavoro pari all'incirca a quella dell'intera Europa: e questo è un problema cruciale perché quando guardiamo per esempio all'Italia e al pericolo cinese, uno deve capire il problema che c'è dietro; e così capiamo anche perché non intendono rivalutare il cambio con il dollaro e abbassare la loro competitività, è perché hanno questo problema enorme di assorbire nel mercato del lavoro questo numero immenso di persone.

Il ventennio americano

Il secondo grande problema è la questione del ventennio americano. I dati demografici sono dati scientifici. Quelle sul ventennio americano sono invece opinioni; e la vostra, naturalmente, può essere diversa dalla mia.

La mia impressione è che gli Stati Uniti siano entrati in un'era diversa in cui il modo di pensare delle élite sia sulla politica sia sull'economia è profondamente diverso da quello del passato e che è ben riassunto dalla frase della signora Condoleeza Rice. Lei dice: "abbiamo 10, se va bene 20 anni, per risolvere alcune grandi questioni e gli Stati Uniti non hanno alcuna reale opposizione perché non c'è più l'Unione Sovietica ma non c'è ancora la Cina che sarà fra 20 anni una potenza globale con cui fare i conti. 

In questi 15, 20 anni la nuova élite che sia chiama la nuova Destra americana, e che secondo me non dovremmo fare l'errore di pensare che sia una Destra incolta, e che invece è colta e determinata ed ha in mente una visione per sistemare alcune cose al mondo. Una visione certamente imperiale con la quale però bisogna fare i conti. Gli Stati Uniti hanno un atteggiamento sprezzante verso l'Europa che fa arrabbiare gli europei, ma che forse non è la reazione giusta.

La persona che la mette nel modo più gentile sprezzante è quella di Robert Kagan, un politologo della Destra oggi che un tempo lavorava con al Dipartimento di Stato durante l'Amministrazione Reagan e oggi sta alla Carnegie Endowment for International Peace una Fondazione considerata abbastanza liberal. Kagan ha scritto un libretto secondo me straordinario tradotto anche in italiano che si chiama Il Paradiso e il Potere dove confronta l'Europa con gli Stati Uniti in cui dà una visione dell'Europa secondo me deprimente in cui la qualità della vita, ma che ha perso qualsiasi influenza sulle vicende importanti del mondo.

Una visione con la quale si può discutere; ma la cosa peggiore da fare è arrabbiarsi e dire 'non è vero!'.

Un caso concreto e interessante è il cambiamento dell'atteggiamento americano verso il contributo europeo alla difesa e al sistema Nato.

Per anni gli Stati Uniti hanno fatto grandi pressioni perché gli europei facessero la loro parte, e spendessero di più per la difesa; questo oggi è completamente scomparso, e la loro risposta oggi è: "siete irrilevanti, se fate un po' di più a noi non interessa più" che è un chiaro segno della perdita di peso europea. C'è un numero che io trovo interessante: gli Usa hanno oggi 87 C117, i grandi aerei per il trasporto delle truppe, l'Europa ne ha 4. E quando Kagan dice 'siete irrilevanti' vediamo che, se anche l'Europa facesse un grande sforzo raddoppiando il numero arriverebbe a 10, resterebbe del tutto marginale.Questo è importante perché gli Usa sanno che hanno questa breve finestra ed il Paese cui stanno molto attenti perché sanno che è il Paese con cui bisognerà fare i conti è la Cina, e non l'Europa.

Un'altra cosa importante per capire il ventennio americano è che è cambiato il modello Usa verso il resto del mondo: se la CIA negli anni '70 mandava brutali sicari ad eliminare i capi di Stato che avrebbero potuto dare fastidio agli Stati Uniti, adesso, magari, accade lo stesso perché mandano gli eserciti, ma lo filosofia è molto diversa: la filosofia è di esportare la democrazia. Certo, la democrazia non si esporta come un pacchettino della Federal Express; però il modello di oggi è del tutto diverso dal modello di Pinochet degli anni '70.

Bisogna capire quello che accade perché non c'è contraltare: cioè quello che accadrà a Washington nei prossimi 20 anni avrà un'influenza diretta su tutto il mondo. L'Unione Sovietica non c'è più; la Cina non conta ancora e l'Europa è diventata di fatto irrilevante. Gli Stati Uniti rimangono però una democrazia e magari se il Senatore Kerry vince le elezioni, cosa che è sicuramente possibile, le cose che vi ho detto cambieranno in 8 mesi e il ventennio americano resterà il ventennio americano, ma con al centro una filosofia molto diversa. 

Però, così come per la demografia, bisogna capire come funziona il motore del mondo.

Il futuro della globalizzazione

La terza cosa da tenere presente è il futuro della globalizzazione. Perché non è detto che la globalizzazione continui perché già una volta c'è stato al mondo un momento di forte globalizzazione, probabilmente più forte di quello degli anni '90, ed è finito male. 

E questo è stato il periodo di integrazione mondiale dovuta essenzialmente alle tecnologie, al telegrafo e alla ferrovie, alla fine dell'800. E se voi guardate al flusso dei capitali come una misura della globalizzazione, cioè quanti capitali si muovo verso i Paesi, non siamo arrivati ancora in proporzione ad avere un flusso dei capitali simile, in proporzione, a quello fra 1880 e la prima guerra mondale.

Perché quella globalizzazione allora finì negli anni '20? Per l'azione di 2 forze che agivano una in Usa e una in Europa. In Usa i sindacati americani erano preoccupati dai grandi flussi migratori che portavano dall'Europa, e in particolare dall'Italia, milioni di persone sul mercato del lavoro americano a basso costo. E infatti l'emigrazione cessò negli anni '20.

L'altra forza che si oppose furono gli agricoltori europei che si opposero all'apertura del mercato ai prodotti delle grandi pianure americane ed allora anche argentine e si opposero alla globalizzazione che significava il ribasso dei prezzi agricoli. Non è detto che si ripeta oggi solo perché è già accaduto; ma se uno legge i rapporti di Cancun, mi ricordano le cose degli anni '20. 

Negli Stati Uniti uno dei prodotti più protetti è il cotone, e questa è una cosa straordinaria, perché il numero di persone occupate nella produzione del cotone è meno di 20mila: un gruppo, uno direbbe, politicamente irrilevante ma che riesce a ricevere dal Governo federale sussidi per molti miliardi di dollari che chiaramente danneggia i 2 o 3 Paesi africani che potrebbero esportare in un mercato libero. Come facciano in 20mila in un Paese di 240 milioni di persone è sorprendente se pensate che Bush ha dovuto togliere i dazi sull'acciaio mentre il cotone non è mai stati in questione: la lobby del cotone è ancora più forte di quella siderurgica di Pittsburgh.

Qual'è la risposta a questa preoccupazione contro la globalizzazione. Secondo me forse è ovvia: ed è la fiducia.

Vi faccio un esempio: quando a metà degli anni '80 quando il Giappone e la Corea iniziarono a produrre componenti elettronici e chip a costi inferiori degli Stati Uniti ed iniziarono a fare concorrenza alla Motorola ci fu un famoso professore dell'MIT che disse 'o qui il Governo inizia a proteggere l'industria elettronica oppure l'industria elettronica americana sarà finita'. Chiaramente l'esperienza è stata molto diversa perché l'industria Usa capì che doveva uscire dal mercato dei componenti elettronici a basso costo e invece di concentrarsi sui componenti elettronici ad altissima tecnologia che ha consentito di cambiare l'industria: che ha consentito di portare sul mercato delle macchine con dei componenti costruiti in Cina o in Corea allargando il mercato perché consente di portare sul mercato delle macchine che hanno dei componenti a bassissimo costo, lasciando all'industria americana i prodotti a più alto valore aggiunto.

Ed è interessante rileggere il dibattito che si sviluppò in America fra chi diceva proteggiamola e chi no. Questo straordinario economista che all'Mit che ora insegna a Princeton ed è forse più noto per gli editoriali che scrive sul New York Times 2 volte la settimana, è stato forse il primo che a metà degli anni '80 si è battuto contro questa visione aperta spiegando che sarebbe stato lo spostamento dell'industria dei componenti a basso costo in Corea che avrebbe consentito all'industria americana di crescere.

Però non possiamo nasconderci che tutte queste cose creano riallocazioni importanti, che magari si va verso un futuro in cui tutti stanno meglio, ma la riallocazione anche nel mercato del lavoro che questo crea è enorme. Vi do un episodio quasi folkloristico ma che secondo me è rivelatore. C'è quest'impresa italiana che produce pentole -- La Lagostina -- che, come molte imprese, ha 2 linee di prodotto: una di alta qualità e una più di qualità più scadente. La Lagostina che ha sede fra il Piemonte e la Liguria produce quella a basso costo, e in Cina quella ad alto costo. Sembra sorprendente in realtà perché in Cina riesce a fare l'alta qualità mentre lo stabilimento in Piemonte si appresta a chiuderlo. E questo ci dà l'idea della riallocazione della forza lavoro globale.

Le prospettive dell'economia mondiale

Alla luce di questi problemi quali sono le prospettive dell'economia del mondo. A mio avviso, ci sono due questioni: una di lungo periodo e una di breve periodo.

Quella di lungo periodo è: Da cosa viene la crescita. La crescita viene solo da 2 fattori: dal catch-up di un Paese relativamente povero come la Cina che porta 100 milioni di persone nel mercato del lavoro, investe e dove il mercato dei capitali è ancora povero. Questo è il modello del Giappone negli anni '70, ldella Corea oggi o della stessa Unione Sovietica negli anni '60. Quando nel '59 lo Sputnik fu il primo a lasciare l'atmosfera, se leggete il dibattito elettorale dell'epoca, vedrete come Kennedy candidato si chiedeva come raggiungere il livello tecnologico della Russia. Ma lo Sputnik era un caso: la Russia portava persone a milioni nella produzione e cresceva. Il secondo fattore della crescita è l'innovazione: il progresso tecnologico. E questo aiuta a capire come funzionano oggi i 2 motori del mondo: la Cina cresce con il catch-up e gli Stati Uniti crescono per il Paese tecnologico che gli consente di aumentare enormemente la produttività.

Il problema dell'economia mondiale oggi è lo squilibrio: la Cina investa troppo e consuma troppo poco, mentre gli Usa, al contrario, consumano troppo e non investono abbastanza. La questione è come bilanciare questo squilibrio: gli Stati Uniti assorbono 1400 mld di dollari l'anno dal resto del mondo, una cifra enorme che significa circa 4 miliardi al giorno per sostenere il loro livello dei consumi. La questione cruciale del cambio oggi è se avviene o meno il riaggiustamento del cambio fra il dollaro e la moneta cinese.

Il ruolo dell'Europa

Ho una visione non entusiasmante sull'Europa. A parte la demografia è una parte del mondo ricco ma in cui gli incentivi non funzionano nel modo giusto. Vi do alcune cifre del 2001: il numero di ore lavorate in Germania è di 1477, in Francia 1532, in Italia un po' meglio: 1600. Negli Stati Uniti sono 1900. Quindi, se questa è un'indicazione di quanto produce un Paese la distanza fra Stati Uniti e Germania è di circa 400 ore perché negli Usa un lavoratore ha una settimana, una settimana e mezzo di vacanze e in Europa ne ha 4. Questa è una questione di fondo.

Se guardate ala produttività, scoprite una cosa interessante. La produttività oraria in Europa è più alta, circa il 25% più alta: per esempio nell'industria dell'auto dopo la ristrutturazione dell'industria francese (Renault, Citroen ecc.) la produttività oraria è più alta della General Motors; ma quella media ma quella media è del 20% più bassa proprio a causa di queste ore lavorate in meno in Europa.

L'altra questione è la partecipazione alla forza lavoro, occupati + disoccupati; e qui il divari fra Europa e Stati Uniti è enorme. La prima cosa è che negli Stati Uniti le persone entrano nella forza lavoro molto presto e da noi molto tardi. Se uno guarda alle statistiche dei bilanci delle famiglie della Banca d'Italia, si scopre una cosa straordinaria: una quota elevata dei giovani fra 25 e 30 anni non lavora; una parte non cerca lavoro e l'altra vive di rendita. Se uno fa una correlazione e trova quali variabili determinano questo stato trova delle cose divertenti. Si  trova che le donne partecipano più dei maschi; che avere un figlio aumenta la probabilità (la voglia) di trovare lavoro. La correlazione ci dice che un fattore cruciale è che esista una sede universitaria nella provincia, che non solo è quasi gratuita ma incentiva a stare a casa; secondo: che se in famiglia lavora una sola persona, aumenta in modo significativo la probabilità di starsene senza cercare lavoro. Cioè, sono studenti maschi che vivono di fronte l'università con la madre a casa che rende piacevole l'atmosfera domestica.

Quindi, il motivo di questa partecipazione così bassa sta anche in un meccanismo culturale e sociale.

Un altro incentivo più rilevante viene dal sistema fiscale che ha aliquote marginali molto elevate per il lavoratore che disincentivano le persone a lavorare un'ora in più: del 70% in Germania e Francia e del 64% in Italia contro 40 negli Stati Uniti: abbiamo una società in cui lo Stato dà molti servizi al cittadino. Ma questi naturalmente costano, e quindi abbiamo delle aliquote marginali alte.

Quindi, anche se non è possibile dire in assoluto se sia migliore o peggiore la nostra società o quella americana, è chiaro che da noi la bassa partecipazione alla forza lavoro e il basso numero di ore lavorate hanno un effetto sulla crescita.

Se uno pone al cittadino medio americano e a quello della UE la domanda se un povero può farcela da solo o lo Stato deve intervenire, negli Usa il 71% rispondono che può farcela lavorando duramente; e in Europa il 70% risponde che lo Stato deve intervenire. Io non voglio giudicare ma bisogna essere consapevoli che questi atteggiamenti generali determinano effetti sulla crescita e sull'economia.

Quindi, se uno guarda avanti, e si chiede come sarà l'Europa fra 50 anni, si vede un'Europa popolata di anziani in cui i pochi giovani lavoreranno poco, forse 4 giorni la settimana; un'Europa piena di immigrati che saranno la componente principale della forza lavoro e che pagheranno le imposte per sostenere i molti anziani. E questo genererà secondo me un problema sociale al quale ci stiamo abituando ma che in realtà è solo la premessa ed è simile a quello che per molti anni hanno vissuto gli Stati Uniti con una forte tensione fra etnie e culture diverse. 

E quindi possiamo chiederci quanto i nostri Paesi siano pronti ad affrontare problemi che gli Stati Uniti sono stati risolti in molti decenni. Questo non è politicamente corretto: ma gli immigrati che andarono negli Usa, venivano da Centro e Sudamerica; e prima erano italiani ed irlandesi: cioè culture e religioni che più facilmente si integravano nella cultura americana; mentre quelli di cultura musulmana che oggi vengono in Europa determinano un'integrazione giocoforza più complicata. 

L'Europa sarà una zona del mondo che continuerà ad essere ricca; ma a causa della bassa crescita, il reddito pro capite sarà più basso di due esempi di Paesi che crescono molto: il Cile e la Corea del Sud; e soprattutto, secondo me, sarà una zona del mondo secondo me politicamente irrilevante.

Al cuore del dibattito europeo ci sono 2 visioni: una vede l'Europa allargata e l'altra ristretta. Gli Stati Uniti hanno sempre voluto un'Europa molto larga perché hanno paura di un'Europa coesa che decide e che conta; mentre un'area molto allargata a 25 o 31 Paesi, in cui molti sono stretti amici degli Usa, non diventerà mai un'entità politica forte. 

E lo vediamo a quello che succede in questi giorni: una Commissione che riesce ad attaccare Microsoft, a prescindere dal merito delle ragioni, non ci riuscirebbe mai se fosse un'Europa a 25 Paesi. Una grande area di libero scambio che avrà dei vantaggi di tipo economico ma che in campo politico non conterà nulla.

E allora che cosa si può fare? Indubbiamente io non ci sarò più ma non mi piacerebbe che le mie figlie andassero tute in California.

Secondo me, c'è qualcosa che si può fare. Andando alla radice del problema che sono le rendite. E l'eliminazione delle rendite è l'unica cosa che può dare all'Europa una prospettiva diversa.

Il problema delle rendite

C'è un esempio che rende bene l'idea. A Mosca nel 1990 alla fine dell'Unione Sovietica c'erano 3 gruppi di giovani: quelli molto bravi, quelli bravini e quelli scarsi. Quelli molto bravi tipicamente andavano all'Accademia delle Scienze, e quelli scarsi non venivano ammessi all'università, che era molto selettiva. 

I bravini sono andati a Stanford o all'MIT: ma quelli bravissimi sono rimasti là. Questo ha a che fare con la creazione di enormi rendite con la fine dell'Urss quando una persona veramente sveglia capiva che la cosa giusta da fare era restare lì e provarsi a prendere un pezzettino di queste rendite con le privatizzazioni fatte male. Mi ha colpito che all'MIT quando chiedo agli studenti russi, loro mi dicono che il più bravo della classe è rimasto lì e oggi è molto ricco e gestisce un pezzettino dell'industria petrolifera. 

Questo è molto pericoloso. 

Un Paese che crea molte rendite dà un incentivo alle persone intelligenti non a fare le cose che servono alla crescita, cioè l'innovazione, ma ad occuparsi delle rendite.

I Benetton, che peraltro conosco, sono un caso esemplare di come la rendita distrugga l'imprenditorialità. Questa famiglia straordinaria con un'idea semplice di colorare i golfini mantenendone in magazzino uno stock di colore grigio e poi colorandoli sulla base della domanda, e con quest'idea hanno conquistato il mondo, oggi cosa hanno fatto?

Sono messi a riscuotere i pedaggi autostradali e i golfini sono diventati irrilevanti per il loro bilancio, lasciando il mercato a Zara e a non ricordo chi altro. Adesso il loro bilancio dipende dalla capacità di negoziar con il governo l'aumento dei pedaggi autostradali, cioè dalla loro abilità negoziale e politica. Sono liberissimi di farlo ché un imprenditore ha tutto il diritto di andarsi a trovare il profilo rischio/rendimento più vantaggioso perché nei golfini la concorrenza è certamente molto più forte. 

Lo vediamo anche in altre aere. E' vero che la Pirelli continua ad avere il suo Pirelli Lab. Ma il 90% del loro bilancio, e tutto il loro futuro, dipende dalla tariffe della telefonia fissa e anche da quella mobile (in questo dall'accordo di duopolio che hanno con Vodafone).

I guai del settore automobilistico di Torino hanno a mio avviso la stessa origine. Questo è un caso in cui gli azionisti hanno deciso che l'automobile non era più il loro futuro perché era troppo difficile farla, perché con la loro gamma era impossibile fare concorrenza alla Bmw, quanto alla Kia della Corea, perché avevano costi europei. Non a caso avevano deciso di uscire ed andare in un settore come l'energia in cui c'è un tranquillo duopolio fra Enel ed Edison.

Forse l'errore loro è stato di non vendere l'automobile subito, e di non essere riusciti a fare il salto verso il settore protetto da quello concorrenziale come invece era riuscito ai Benetton e ai Pirelli. 

Son tutti esempi di come la rendita crei incentivi perversi. Se la Fiat non avesse avuto o un mercato domestico protetto o l'illusione di prendersi una parte della rendita dell'energia, probabilmente si sarebbe svegliata prima e l'innovazione, che pure aveva dimostrato di essere capace di saper fare, avrebbe continuato a farla come hanno fatto Audi e Bmw. 

Gli esempi di protezione e difesa delle rendite sono di tutti i giorni: per citare un esempio di questi giorni e le discussioni sugli assetti della vigilanza del mercato finanziario, questa idea che bisogna cercare di proteggerlo, anche questo secondo me porterà alla scomparsa del mercato finanziario italiano.

Se uno guarda nel futuro, l'Italia potrà avere al massimo una, due banche nel mercato europeo; se uno guarda alla dimensione delle banche americane e la confronta con quelle europee, intendo, si capisce che in Italia resteranno due banche; le altre o saranno delle piccole realtà locali, oppure non ci saranno più. Allora, proteggere le rendite, evitare che siano fusioni, significa evitare che crescano questa una o due grandi banche ad un livello europeo. Il più grande gestore di risparmio italiano, il San Paolo Imi gestisce 100 miliardi di euro. Il gigante svizzero Ubs ne gestisce 1800 miliardi: 19 volte San Paolo. Quindi, San Paolo non ce la farà mai quando il mercato non sarà più protetto.

Sugli Ordini, c'è un dibattito su lavoce.info con il professor Brunetta, eurodeputato di Forza Italia. Secondo me un argomento giusto come le certificazioni hanno tante questioni che sono importanti che coprono i fallimenti del mercato, la tutela deontologica come nel caso dei giornalisti il cui Ordine vara dei provvedimenti se vendono un particolare farmaco invece che l'aspirina bisogna separare queste funzioni di aiuto al mercato dalla protezione: nemmeno una persona liberista come l'ex Ministro Bersani è riuscito a fare approvare il provvedimento per abolire il pagamento del passaggio di proprietà e il disegno di legge è arrivato 5 volte in Parlamento e non è mai stato approvato. Bisogna superare la commistione di funzioni. Ricevo email dai farmacisti o dagli edicolanti contro le macchinette per la vendita dei giornali che poi costano anche un euro ed è anche facile no? La protezione della rendita non è una funzione che dovrebbero svolgere. C'è un'associazione di farmacisti che è un gruppo per una riforma dell'Ordine orientata ai clienti. Lo stesso email che ogni tanto ne ricevo 1 o 2 in cui mostrano che c'è un dibattito aperto.

Università e ricerca: un'evoluzione verso la qualità ogni volta impossibile

Vengo all'università. Quando sono nati il trienno e il biennio (3+2) è un altro esempio di questo modo di operare delle rendite. Abbiamo finalmente creato un sistema come in Inghilterra o negli Stati Uniti in cui il numero di studenti che continuano a studiare dopo il triennio o dopo il College è trascurabile. Da noi invece il biennio è stato reso praticamente obbligatorio. 

Se prendere la professione del commercialista, le regole dell'Albo dei commercialisti esigono il triennio, poi il biennio e poi pure un anno di tirocinio. In Inghilterra deve farne 3 o al massimo 4. 

Perché? 

Perché i commercialisti sono terrorizzati dal numero di nuovi concorrenti che arriverebbero ed allargare lo scalino di ingresso è il modo che usano per difendersi e non fare allargare il mercato. E questo secondo me è un guaio.

In Inghilterra non ci sono problemi ad avere un commercialista di 22 anni.

Un altro aspetto riguarda la domanda. Nella mia università, la Bocconi, il messaggio è che sia un'università di 5 anni. Perché? Perché se passasse a 3 anni, fallirebbe il giorno dopo. 

La Bocconi ha un bilancio in vecchie lire che, se non ricordo male, due anni fa era di 120-130 miliardi, di cui 80 circa sono tasse degli studenti. Che sono tasse che vanno da 0 a 6mila euro a seconda del reddito della famiglia, e gli studenti sono 12 o 13mila, per cui se portiamo gli anni di università a 3, o raddoppiamo il numero degli studenti o falliamo il giorno dopo. Però, per questo problema, noi stiamo scaricando sugli studenti degli incentivi perversi: di fare 5 anni invece che andare a lavorare a 21 o 22 anni. 

In altre università dove il vincolo di bilancio non c'è come quelle pubbliche l'incentivo perverso viene dai professori che, con la riduzione del numero degli studenti, vedrebbero il loro corso scomparire. 

Un altro incentivo perverso che viene dalla difesa della rendita dei professori, ha a che fare con il modo con cui abbiamo strutturato il corso di studi: al triennio bisognerebbe studiare materie di interesse generale: storia, matematica, filosofia. E invece abbiamo compresso anche dei corsi nel triennio e mettiamo marketing al primo anno per difendere il nostro corso; col risultato che di avere corsi spezzettati di 5 o 6 settimane ciascuno con li studenti che vanno come al supermercato a prendere qualcosa una dopo l'altra. E questo secondo me è un guaio molto grave perché con in un mondo che cambia così rapidamente, l'unica cosa che conta ' la capacità di avere una testa aperta e di poter cambiare.

Ho una storia rivelatrice di questa questione.

Una volta chiesi ad un signore che si chiama Wim Bischoft ed era il capo dell'ultima banca rimasta inglese e che si chiama della Schroders come assumessero i giovani svegli nella loro banca. 

Lui mi diede una risposta sorprendente dicendomi che era molto facile: prima mandava a chiamare qualcuno che avesse studiato lettere classiche ad Oxford oppure matematica pura a Cambridge e poi li invitava a colazione: "gli faccio 5 o 6 domande. Su 4 delle domande, capisco che non hanno idea di cosa parlano; ma su due mi danno una risposta così strana che a volte passo l'intero weekend per capire cosa volessero dire. Ecco, ogni tanto un punto di vista tanto diverso mi aiuta a capire che, quelli saranno di grande valore per la banca. 

"Quelli della London School of Economics, invece mi danno le risposte che leggo la mattina in metropolitana nel Financial Times, e quindi mi fanno perdere tempo". 

Controllare la qualità e farsi concorrenza

Ci sono due principi semplici. Il primo è fare come Tony Blair, la cui riforma universitaria è passata questa settimana per il rotto della cuffia: diamo un incentivo perché gli studenti controllino la qualità della ricerca. 

Alla Bocconi da molti anni nessun professore si sogna di arrivare in ritardo a lezione perché gli studenti oltre la retta pagano la vita a Milano che è molto costosa. Però questo non vuol dire che andiamo all'università privata. In Inghilterra lo studente chiede un prestito allo Stato, e non alle banche, e poi lo dovrà restituire in funzione del lavoro che trova ad un tasso che è quello dei Bot, senza che lo Stato ci guadagni. Quindi, se non trovi un lavoro o se fai una cosa di valore sociale non ripaghi il debito; ma se vai a lavorare alla Schroders e diventi ricco, restituisci nel tempo quello che hai ricevuto.

La reazione è stata forte perché uno dei principi fondanti del Labour era l'educazione libera e gratuita. Però se vogliamo che ci siano degli incentivi perché gli utenti controllino la qualità dei servizi, dobbiamo crearli.

Il secondo fatto è un po' di concorrenza: l'abolizione del valore legale del titolo di laurea è cruciale. Se si toglie, la laurea in giurisprudenza a Padova o all'università x dove la fama è cattiva e i professori non vengono, costringe chi poi compra i servizi legali ad andare a controllare dove è stato conseguito il titolo.

Come negli Stati Uniti dove il mercato ha ben chiara la differenza fra una laurea conseguita ad Harvard piuttosto che al Boston College.

Nel nostro Istituto di economia politica noi abbiamo di fatto abbandonato il sistema dei concorsi pubblici: ai primi di gennaio di ogni anni ci riuniamo ogni volta in una città americana diversa con varie altre Università e incontriamo dove ci sono i giovani Ph.D sul mercato; a quelli che selezioniamo diamo dei contratti di 7 anni, pagati di più, a livello internazionale: 100mila euro all'anno. 

Non hanno la sicurezza del posto, però vengono. La loro qualità sarà ulteriormente giudicata dal mercato della ricerca e della formazione alla fine dei 7 anni.

L'Istituto italiano di tecnologia: 30% di possibilità

Sulla ricerca, sui centri di eccellenza e su questa proposta del governo di introdurreIl biologo del Cnr Paolo Colombo segue l'intervento di Francesco Giavazzi l'Istituto di tecnologia, non è un caso se il governo socialdemocratico di Schroeder abbia introdotto proprio in questi mesi la proposta di creare 3 o 4 nuove università di élite che non è molto diversa da quella di introdurre l'Iit. 

Phil Griffiths è un matematico che insegnava ad Harvard ed è stato direttore dell'Institute for advanced study di Princeton sarà una delle persone che darà forma a questo Istituto, lavora da anni alla Banca mondiale dove ha avuto grande successo nel creare centri di ricerca di eccellenza per la Banca in tutto il mondo. 

L'obiezione principale contro l'Iit è perché non finanziare i centri di eccellenza già esistenti?

La mia risposta è che, in un mondo ideale, uno non vorrebbe costruire un centro di eccellenza nuovo né in Italia né in Germania. Il problema è che questo secondo me non è possibile. E le scelte degli ultimi 20 anni lo dimostrano.

Io mi ero illuso che il nostro Istituto di ricerca, che era stato riconosciuto come quello di eccellenza in Italia nell'economia politica potesse avere in un grande futuro, ma poi l'anno dopo ci siamo accorti che gli Istituti riconosciuti come tali erano 15 ed il finanziamento arrivato di 1 miliardo e mezzo, una cifra con la quale non si cambia certo la qualità della ricerca. 

L'equilibrio politico è tale che è stato impossibile scegliere. Non si può scegliere. La cosa non piacerci ma è così. E così il numero dei Centri di eccellenza è estremamente elevato.

La stessa cosa è successa con il biennio post laurea della riforma, con cui si è persa secondo me un'occasione straordinaria per qualificare le 94 università italiane: per avere il biennio, infatti, bisognava avere l'approvazione del Ministero. 

E invece no: tutti hanno ricevuto il biennio. Credo che su 93, ne siano stati approvati 85 e gli altri siano in via di approvazione.

E questo è un altro esempio di come è impossibile scegliere; allora l'unico modo è fare delle cose che siano separate dal resto, altrimenti le risorse dovranno essere spartite fra tutti e diventeranno irrilevanti.

Io non so questo Istituto di Genova avrà successo: secondo me ha un 30% di possibilità di farcela. Dovrà stare nell'università perché senza studenti gli Istituti di ricerca muoiono e comunque a Genova bisognerà scegliere in quali settori, di cui ho una vaga idea; e bisognerà anche vedere la composizione del comitato scientifico.

Bisogna però capire come si è arrivati alla creazione di questo Istituto; ci si è arrivati per la frustrazione di non riuscire a concentrare le risorse nelle poche aeree di eccellenza. E la persona che sta dietro l'idea di questo Istituto è il Ragionere dello Stato, una persona molto particolare che è arrivata lì dall'Università docente ad Yale.

"Allora -- ha chiesto a Giavazzi il biologo del Cnr Domenico Geraci -- cosa faremo? Anch'io ero membro del Comitato nazionale delle scienze della vita in seno al Cnr; eravamo in 26 e non è mai stato possibile scegliere dove concentrare le risorse: solo finanziamenti a pioggia. Esattamente come avviene oggi che siamo commissariati.

"Lei ha ragione -- ha risposto l'economista --. Su tutto: sarebbe bello se l'Italia il ministro dell'economia o della ricerca mettessero in piedi dei comitati scientifici seri che poi assegnano le risorse sulla base di una valutazione. Ma purtroppo non sono in grado di farlo. Secondo me al Cnr c'è stata un'occasione imperdibile: quando si arrivò al commissariamento, si poteva usare quel momento di crisi profonda per fare delle scelte radicali. 

I momenti di crisi profonda sono gli unici in cui è possibile fare delle scelte realmente radicali. Alla fine di settembre del '92 ci fu una famosa asta dei Bot in cui andarono deserta e se non fosse stato per l'intervento della Banca d'Italia, l'Italia avrebbe dichiarato il default sul debito (i.e. smesso di pagare gli interessi ai titolari dei titoli di Stato, come ha fatto l'Argentina recentemente). In quelle 2 o 3 settimane in cui Giuliano Amato fece passare quei provvedimenti sull'economia, tipo quello che liquidava l'Efim, che non erano mai riusciti a passare. 

Al Cnr, se ce n'era una persona che poteva farlo, quella era il ministro Moratti, che può tornare a casa a Milano a fare il suo lavoro quando vuole: se non c'è riuscita lei temo che non ci riuscirà nessuno per molti anni a venire.

Purtroppo questo è il mondo in cui viviamo: anche sulla ricerca, non hanno il coraggio o la possibilità di prendere i provvedimenti necessari. Quindi, ci sono 2 strade possibili: o accettare questo ed andare avanti così, oppure separare le cose e fare un Istituto che sia autonomo da questo sistema. Poi l'Iit nascerà dentro un Paese dove ci sono tutti gli incentivi negativi di cui ho parlato e le probabilità che abbia successo resta secondo me lo stesso del 30%.

Per saperne di più

Francesco Giavazzi, gli editoriali sul Corriere della Sera e le column su Lavoce.info.


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