qualitas1998.net Ultimissime Report della XIII, memorabile, edizione del corso del Quality College | | Cerca |
Palermo, 18 febbraio 2003 – Tenuto dal responsabile del Quality College del CNR Mario Pagliaro, si è concluso a Palermo il 31 gennaio con l'intervento di Antonello Perricone il XIII (memorabile) corso di formazione manageriale su la gestione integrata della qualità del CNR cui è splendidamente intervenuto anche Antonio Tombolini. I corsisti – manager, giovani laureati, imprenditori e dirigenti della pubblica amministrazione – hanno avuto modo di confrontarsi anche con il responsabile del Rina in Sicilia Antonio Ferraro sul tema della certificazione dell'impresa e con il fisico del CNR Antonio Pagliaro sul tema della comunicazione efficace. Ecco alcuni dei loro commenti:
"In questa settimana trascorsa con Pagliaro sono cresciuto molto ed ho imparato non solo e non tanto la qualità o la certificazione ambientale, ma a sapermi relazionare e difendere da questo mondo di figli di puttana che mi circonda!"
"Pagliaro spazia a 360 gradi. Di formazione chimico dimostra di essere preparato e competente in diverse discipline. Alterna ai discorsi sulla certificazione di qualità nelle imprese citazioni dal greco, di storia, nozioni di geografia... e perfino citazioni dal Vangelo! Sembra di stare su internet con qualcuno che per spontanee associazioni va cliccando ovunque. La sua passione innata per quello che spiega lo porta a richiamare continuamente l'attenzione dei corsisti: si accorge quando qualcuno si distrae, e ripete più volte lo stesso concetto se pensa che il suo interlocutore non abbia capito bene. In ogni caso Mario Pagliaro mi ha impressionato anche per le sue doti umane ed il suo spirito che si evince dalle varie citazioni. Una in particolare, penso la dovremmo eleggere a regola: 'Siate buoni come colombi ed astuti come serpenti' Ancora complimenti!!!"
"Devo ammettere che sono molto soddisfatto per le molteplici informazioni ricevute. Gran parte del merito della riuscita del corso deve essere attribuito al Dr. Pagliaro che con molta semplicità è riuscito a spaziare tra i tanti argomenti affrontati facendoci conoscere degli aspetti, almeno per quello che mi riguarda, del tutto sconosciuti sia nel mondo del lavoro che nella vita 'reale'"
Proveniente dal Loreto, il 28 gennaio è intervenuto al corso il fondatore di Esperya Antonio Tombolini che ha offerto ai corsisti il privilegio di uno degli interventi più profondi e interessanti mai ascoltati in Italia su Internet e l'impresa. Un resoconto personale di valore e attualità assolutamente generali.
"L'ho chiamata Esperya – ha detto l'imprenditore marchigiano a Mario Pagliaro – come i Greci chiamavano l'Italia con la stesso nome della stella della sera: Venere, cioè Espero in greco. E anche il logo di Esperya viene da quel mito: le Esperidi, ancelle di venere, avevano come frutto sacro la mela. Tagliando la mela orizzontalmente, infatti, il torsolo e i semi, in sezione, disegnano una stella: il logo di Esperya è questo".
"Il mio incontro con Internet – ha esordito dunque Tombolini – avviene nel 1995 quando anche i giornali e la stampa ne cominciarono a parlare, quasi costretti. Ero direttore generale di un'impresa di produceva antenne telefoniche. Un giorno la Bosch, nostro grande cliente, ci comunicò che dall'indomani i loro ordini sarebbero arrivati via email. Ci attrezzammo in 24 ore e così mi ritrovai in Internet.
"Mi accorsi ben presto, però, che il cambiamento del mezzo di comunicazione cambiava il messaggio. Cioè, con il fax, c'erano la carta intestata e la lettera che io scrivevo al product manager Robert Friedman che mi rispondeva a sua volta col telefax. Con l'email – e specie con le prime email: font courier e niente immagini o link – il messaggio diventava: 'Caro Robert, ti allego il file excel con il nostro prezziario. Ho saputo che vieni in Italia. Fammi sapere quando che andiamo a cena sotto il Monte Conero".
"Cambiavano, cioè, le modalità della relazione: non esisteva più separazione fra la sfera professionale e quella personale. Fra il lavoro e la vita.
"Io ero Antonio e lui Robert. Lo strumento di comunicazione ci metteva lì per intero. E questa è stata la mia prima percezione della Rete come trasformazione non evolutiva, ma di rottura. Io mi trovavo, ahimè, a parlar spesso di ristoranti e di cibo. Ma il primo fatto osservabile legato ad Internet era che la comunicazione insegnata per esempio negli Istituti tecnico-commerciali ("data, destinatario, gentile dottore, cordiali saluti") era finita. Conclusa.
"Credo che chiunque di noi usi la posta elettronica, può testimoniare che si tratta di una forma di comunicazione molto più coinvolgente e personale del fax o della lettera commerciale. Non ha l'immediatezza del telefono o la formalità della lettera. Ma pur non essendo sincronica, consente comunque una riflessività molto maggiore insieme a una grande rapidità e semplicità d'uso.
"Vorrei quindi estrapolare – ha continuato Tombolini – e arrivare alla prima e alla seconda conclusione relative all'impatto di Internet sul lavoro:
Fine della separazione fra business e vita privata
Centralità della persona rispetto alla funzione
"Mi scusi – lo ha interrotto subito una corsista – ma lo scopo dell'impresa non resta comunque quello di avere l'ordine della Bosch?".
"Questo – le ha replicato l'imprenditore e consulente marchigiano – è il tema centrale del mio intervento. Qual'è lo scopo del business. Sto per tornarci.
"Vorrei ancora enfatizzare, prima, il fatto rivoluzionario di poter chiedere di Robert mentre prima, col fax, Robert o Wolfango che fosse erano egualmente anonimi. In questo senso se introduciamo l'email in un'azienda, dovremo essere consapevoli del fatto che l'immagine aziendale non sarà più fatta di comunicati stampa e dell'ufficialità. Ma anche di tutto quello che comincerà a filtrare all'esterno.
"Questo mi fece innamorare della Rete: iniziai ad acquistare libri che non avrei mai comperato e on-line trovai per esempio persone con le quale giocare a scacchi – la mia seconda grande passione – che non avrei mai potuto trovare a Loreto. Nel '97 decisi di bruciarmi i ponti alle spalle: far coincidere il lavoro con quello che amavo. Ora, la mia passione è la gastronomia: ogni volta che partivo per lavoro, tornavo con le buste dei migliori prodotti alimentari dei posti che visitavo.
"Poteva diventare il mio lavoro?
"Cominciai a lavorare all'idea della bottega on-line. Era la fine del '97 ed erano iniziati i discorsi sui business-plan e l'interesse spasmodico della finanza per Internet. Io avevo iniziato con mio fratello Paolo e un mio amico d'infanzia (siamo 7 fratelli e io sono il più anziano), ma vivo a Loreto ed ero (eravamo) del tutto al di fuori dal vortice che stava per scoppiare.
"All'inizio, Internet era fatta dei newsgroup. Io partecipavo a quello di It.Hobby.Cucina: se andate su Google troverete i messaggi datati 1997-98 delle 150-200 persone al giorno che mi assistettero nella creazione di Esperya. Così, quando nel maggio '98, facemmo una festa per la nuova azienda, c'erano 80 persone che si erano conosciute on-line. Quindi, ancora prima di nascere, l'azienda aveva già i suoi supporter.
Pertanto la terza evidenza relativa ad Internet di cui mi convinco sempre di più è:
Su Internet, l'unità di misura è la passione.
"Perché – gli ha chiesto quindi un corsista – quando apro Internet sul mio PC, mi compare sempre la stessa pagina che io non ho mai chiesto?"
"Se è per questo – gli ha replicato Tombolini – non vi capita di veder comparire pagine che appaiono e poi scompaiono? Non hanno compreso la natura di Internet. E buttano via milioni di euro (o di dollari) per nulla.
"Ora, ricordate il tempo quando distribuivano i CD-Rom gratuiti? L'idea era che collegandosi attraverso i siti dei portali, gli utenti sarebbero partiti e ritornati lì. E' la stessa idea che sta dietro la TV: gli utenti sono cretini. E faranno quello che noi abbiamo deciso per loro.
"Mi segno questo punto sul quale torneremo perché è fondamentale, e torno a monte.
"Fondammo Esperya con l'obiettivo di viverci almeno noi 3 fondatori. Una bottega on-line che funzionasse come al mercato, dove si stabilissero relazioni personali, e non anonime. Avevamo, naturalmente, una gamma di prodotti disponibili ed un magazzino – perché senza non è possibile lavorare. Se, per dire, mi ordinavano 6 prodotti, senza magazzino avrei dovuto chiamare 6 volte il singolo fornitore e fare pagare 6 volte l'invio. A noi fu chiaro fin dall'inizio: non c'è bottega senza retrobottega. E a differenza di altri, eravamo in grado di consegnare in tutta Italia in 24 ore.
"Poi successe tutto in fretta. La stampa iniziò a parlare di Internet e la notizia di Esperya uscì su tutte le maggiori testate nazionali, e così al Natale '98 ci ritrovammo con un'immagine nazionale per la quale non avevamo speso una lira di pubblicità, visto che il nostro investimento in comunicazione consisteva nella partecipazione alle Fiere come il primo Salone del Gusto di Torino, dove recuperavamo l'investimento con la vendita dei prodotti allo stand.
"Nel marzo del '99 ci pagammo il primo stipendio: avevamo raggiunto l'obiettivo. E a luglio venimmo contattati dal Gruppo L'Espresso di Carlo De Benedetti che aveva appena fondato Kataweb. Ci proposero di cedere il 70% delle azioni per 600 milioni di lire e in cambio ci lasciavano la conduzione operativa. Andai da Paolo Dal Pino, che mi disse:
- 'Bene, quanto costerà questa Esperya, 1 miliardo?'
- 'No, 600 milioni'.
"Ai miei soci non lo dissi che dopo qualche tempo. Ma non mi sono mai pentito perché era un comportamento che ci dava credibilità e garantiva autonomia: nell'accordo raggiunto era scritto che non erano possibili aumenti di capitale e che io sarei rimasto amministratore delegato fino alla fine del 2004.
"Chiudemmo il '99 con 1 miliardo di fatturato, passati a 5,2 nel 2001. C'erano molte idee: fondare un tour operator innovativo sulla Rete ed aprirsi ai mercati esteri. Ma adesso vi chiedo: fate la domanda 'Cosa vendi?' a Tiscali o a Kataweb; oppure, 'Qual'è lo scopo della vostra azienda?'.
"Qual'era – ha continuato Tombolini – il problema delle società dot.com (cioè delle imprese che operavano su Internet)? Quale scopo avevano? Naturalmente, il loro scopo era quello di quotarsi in borsa. E non di vendere qualcosa.
"Tiscali? Internet? Tutti – banche d'affari, giornalisti, consulenti e mass-media – dicevano che fosse il futuro. Quotarsi in borsa. Tanto, i rapporti erano di 1 a 400. De Benedetti investì 100 miliardi per Kataweb, e ad aprile 2000 rifiutò di quotarla a Milano per 4mila miliardi, perché gli parevano troppo pochi. A giugno, vendette ad Unicredito il 5% per 300 miliardi, il che significa che in quel momento valevano 6mila miliardi.
"La quotazione in borsa diventava quindi lo scopo dell'esistenza dell'impresa. Chl, Vitaminic, Tiscali: Se andate a vedere i bilanci – on-line per obbligo legale – troverete per esempio che Chl riporta vendite in calo da 50 a 30 milioni di euro da gennaio-settembre 2001 a gennaio-settembre 2002, a fronte di perdite di 110 e 100 milioni di euro.
"Ora, in America le aziende falliscono seriamente. Qui da noi, meno. Ma resta il fatto che i fondatori proprietari di queste aziende hanno intascato i soldi delle quotazioni iniziali. De Benedetti, per esempio, ricavò 1000 miliardi con la sola quotazione di Cdbwebtech. Quando la bolla speculativa esplose e Kataweb capì che non ce l'avrebbe più fatta a quotarsi a quelle cifre, iniziò a dismettere tutte le attività, possibilmente senza fare rumore, come ad esempio fece con Zivago che avevano in società con Feltrinelli.
"Esperya, no. Mi chiamarono a febbraio 2001 chiedendomi di trovare un acquirente che la pagasse 8 miliardi. Avevo un diritto di prelazione e trovai i soldi richiesti con il contributo di miei amici imprenditori. Ma quanto ad aprile 2002 andai dall'amministratore delegato del Gruppo L'Espresso Marco Benedetto, si rifiutarono di vendere, aumentarono il capitale e mi licenziarono.
"Dal giorno dopo in cui sono andato via, il calo delle vendite di Esperya è stato del 60% a fronte di un aumento del 20% nel periodo gennaio-marzo. Perché?
"Perché era una bottega on-line. Con il forum messo al centro della home page. Un'azienda in piazza. Loro fecero invece l'errore di chiudere il forum. E questo aumentò ulteriormente il battage e la protesta. Ora, a prescindere dalla vicenda personale di Antonio Tombolini, vi dico questo per mostrarvi come valga la seconda dimensione essenziale di Internet – la persona che supera la funzione.
"Ma la relazione ha un valore economico: -60% di vendite.
"Prevedo che nella new economy ci saranno ancora molti altri fallimenti ma adesso fate attenzione a come è passata nel messaggio mediatico, la new economy: 'Ve l'avevamo detto noi che l'economia era il petrolio, l'acciaio, il tabacco e gli operai'. Così, in un niente, siamo passati all'epoca riduttivistica.
"C'è un ragazzo che conosco che sta scrivendo una tesi di laurea sull'informazione durante gli anni della new economy: sta mettendo accanto gli articoli degli stessi giornalisti quando osannavano le dot.com e quelli di oggi in cui sparano 'a palle incatenate' su Internet e qualsiasi cosa vi abbia a che fare.
"La morale sarebbe dunque – si è chiesto Tombolini, chiudendo la prima parte del suo intervento in cui ha lasciato senza fiato i corsisti – che Internet è solo qualcosina in più di telefono, fax e tv messi insieme? Che va bene solo per vendere qualche salamino? E con intaccherà mai gli interessi del commercio internazionale?
"Eppure, il numero di connessioni e la durata dei collegamenti alla Rete crescono sempre di più, così come crescono la larghezza di banda e le zone che sono servite dal segnale Internet. Cresce, cioè, a prescindere dal business. I signori del business – e quindi anche noi, che lavoriamo e svolgiamo delle professioni – possono farne a meno. Ma la Rete continua ad esistere. Allora la domanda è: Il business può davvero fare a meno della Rete?
"Allora, – ha chiesto ancora l'autore della prefazione a Cluetrain Manifesto – pensiamo a cosa facciamo noi in Rete? Comunichiamo, come non abbiamo mai fatto in passato. La Rete è un moltiplicatore di relazioni come non ce ne sono mai stati. Passiamo sempre più tempo a navigare. Comperiamo? Molto poco. Anche se a ridosso del Natale escono i soliti articoli che celebrano il trionfo degli acquisti on-line e l'aumento dei fatturati. Io stesso, che in Rete ci campo, compero poco. Qualche libro, il videogame per mio figlio.
"Ricordate l'uso della carta di credito? All'inizio, la usavamo solo per gli alberghi. Ora la usiamo per la pizza e per la benzina. Col tempo, cioè, passerà. In realtà, su Internet c'è pochissima offerta e quindi pochissime transazioni. Allora, cosa facciamo in Rete?
"Cerchiamo delle cose: lo studente la usa per cercare notizie su Freud, sul quale deve scrivere la tesi. Oppure navigo per cercare le persone e i siti che condividono le mie passioni e con cui coltivare i miei interessi. E in tutto questo, non ci sono transazioni di denaro mentre il costo della connessione tende a zero. Col wi-fi, per dire, siamo on-line ovunque e a costo nullo, come già succede in alcune aree dell'aeroporto di Fiumicino.
"Ora, alcuni hanno cominciato a richiedere il pagamento dei contenuti. Come fa per esempio Repubblica. Ma qual'è il risultato? Che nessuno paga. Questa era la filosofia dei portali che abbiamo visto prima: io ti do qualcosa e tu mi paghi. Virgilio, Kataweb, Yahoo: io ti metto dentro le risorse specializzate (il cinema, la musica, la cronaca ecc.) e metto la mia redazione a produrre contenuti per il portale. Tu, cara azienda, metti qui la tua pubblicità e pagami.
"Quanto pagate per avere 1 milione di contatti sulla stampa? Bene, pagatemi la stessa cifra per il Web. E invece, nel dicembre '99 un banner costava 150 lire per impression (cioè per click); e oggi costa 4 lire. Nessuno, cioè, clicca sui banner. Mi capitò, ad esempio, di vedere su Virgilio il banner di Esperya che io non avevo né richiesto né tanto meno acquistato. Li chiamai e gli dissi che se non mi avessero rimosso subito, li denunciavo.
"Mi risposero che mi avevano inserito gratuitamente per mostrare di averci come clienti. Questa quindi era la rivoluzione: la morte della pubblicità.
"Pensate al caso AOL-Time Warner: l'obiettivo era di mettere a disposizione delle aziende i cento e passa milioni di americani connessi alla Rete grazie ad AOL. Ma l'obiettivo è fallito perché le persone non fanno affatto quello che vogliono i proprietari del provider divenuti elaboratori di contenuti.
"La pubblicità diventa addirittura negativa: ed ecco perché chiesi a Virgilio di cancellarmi dal loro sito. Ora apriamo Virgilio (in sala è presente un videoproiettore connesso alla Rete) ed ecco: la pubblicità di Tin.it. Adesso apriamo Repubblica. Ed ecco: Esperya. Cioè, ormai fanno la pubblicità a sé stessi.
"Quant'è il click/through sui banner? 0.05. Cioè zero.
"Torniamo quindi al nostro studente che cerca informazioni su Freud. Se fa la ricerca su uno di questi 'portali', i links ai siti che parlano di Freud saranno stati pagati dalle imprese; e l'utente lo sa. Altavista, visto che la pubblicità on-line stava morendo, cominciò allora a vendere la posizione gerarchica nei risultati della ricerca; e lo scrisse ai suo azionisti. Un minuto dopo, l'informazione si diffuse a macchia d'olio col risultato che Altavista perse buona parte dei suoi utenti!
"Adesso invece prendiamo Google, che in 3 anni ha quasi cancellato motori di ricerca più antichi e conosciuti come Altavista e Yahoo. Due studenti americani hanno cambiato il modo di dare rilevanza ai risultati delle ricerche: niente links a pagamento. Si fa come nella ricerca scientifica. Per primi, i siti corrispondenti alla query di ricerca che sono più citati dagli altri siti: il citation rate. Inoltre, Google pesa diversamente una citazione se viene dal New York Times o dal giornale sottocasa.
"Come fa allora i soldi, Google. Con i collegamenti sponsorizzati? Molto pochi.
"Li fa offrendo i propri servizi specialistici a organizzazioni che li vogliono 'tagliati' sui propri bisogni. Non è quotata in borsa e nel 2002 ha fatto 200 milioni di $ di fatturato.
"Adesso andiamo sul mio sito. Vedete: c'è una finestrella in cui compaiono i top 10 hits su Google corrispondenti alla parola chiave del mio intervento (in questo caso la Shoah)
Gratuitamente
"Allora, cos'è Internet?
"Un mezzo di comunicazione? Certo. Ma c'è dell'altro: la Rete tocca anche i contenuti della comunicazione. E' un posto per il commercio? Certo, ma prescinde dal commercio stesso e sta benissimo senza. Internet, a me piace ripetere, è un luogo. E' un luogo: un'innovazione di rottura che ha la portata dell'invenzione della macchina a vapore, della corrente elettrica e della scoperta dell'America.
"Sito significa luogo. Navigare, si naviga fra luoghi diversi. Gli incontri si fanno nei luoghi.
"Allora, in questa Terra Nuova, ci saranno dei posti dove non andrà nessuno e altri in cui vanno in molti. Quante persone, per dire, vanno a visitare il sito della Nestlé? Mi piacerebbe che Nestlé mettesse il link alle statistiche di visita come faccio io sul mio sito. Ma temo che non lo facciano perché si accorgerebbero che non li visita nessuno.
Dunque, le imprese possono davvero ignorare l'esistenza di Internet?'
"Eppure il boicottaggio della Nestlé non è forse nato sulla Rete?
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"Bene, andiamo sul sito della Shell. Siete d'accordo che in genere pensiamo che quelli della Shell sono dei fetentoni inquinatori. Andiamo nella home page. Ed ecco. Shell ha capito la natura della Rete: c'è un forum aperto in cui chiunque può lasciare la propria opinione. Liberamente. Anche chi dice che Shell è la più fetente compagnia del mondo.
"Andiamo su Esperya, adesso. Cerchiamo il link al forum, che c'era. Apriamo e troviamo che 'Partecipare non richiede altro che il rispetto di alcune regole. Il Forum è moderato a priori: saranno pubblicati solo i messaggi che alla verifica preventiva le rispetteranno'. Cioè è come se vi invitassi a cena a casa mia e poi vi dicessi: per favore, non sputate per terra.
"Voi che fareste?
"Vediamo. Apriamo ancora e: 3 visitatori dal 16 al 28 di gennaio. Capite?
"Ma non è pericoloso? – chiede ancora un corsista – Lei pubblica anche gli insulti?
"Certo. Sono talmente pochi che si commentano da sé. E' come quando qualcuno passa in piazza e si mette a gridare insulti: lo guardiamo compatendolo.
"Internet è come avvenne con l'America. Diffidate dagli esperti che vi dicono di esserlo, perché non ce ne sono. Ad entrare in crisi, sono i concetti stessi di strategia e management. E dobbiamo essere dei bravi esploratori. Noi come le imprese. Andare avanti a tentoni. Provare. Tracciare i sentieri. Questo è il destino delle persone che s'incontrano e che non si conoscevano.
"Il mercato – ha aggiunto ancora Tombolini parafrasando il grande Robert Pirsig – non era un verbo: marketing, gerundio di to market. Era il nome di un luogo. La piazza dove si svolgeva. E ci stiamo tornando. Dobbiamo entrare in Rete con l'ottica di esplorare cautamente, fare incontri e stabilire relazioni. Siamo riportati ad una dimensione in cui è restituita interezza alla persona umana. E non ci siamo più abituati.
"Una dimensione dove siamo alla pari. Antonio Tombolini non è più lo sconosciuto di Loreto e la Shell non è più per forza il gigante che sfrutta, inquina e se ne frega dell'ambiente.
"Nello spazio fisico – ha concluso Tombolini il suo splendido intervento durato quasi 4 ore – la distanza in metri esprime la prossimità di corpi e persone. Su Internet, la distanza fisica non si esprime in metri ma con le affinità di interesse: i link, come ha compreso Google, esprimono tali affinità. In Rete, l'unità di misura non sono metri ma passioni condivise.
"Sta cercando lavoro a Milano ed è dura, vero? -- ha esordito nel suo intervento informale e appassionato, l'amministratore delegato della Maserati Antonello Perricone, rivolgendosi a una giovane corsista neolaureata -- In questo senso, la provincia bolognese-romagnola sembra un'oasi rispetto al resto d'Italia. Invece di ascoltare le mie sciocchezze, scriva il suo curriculum e me lo dia.
"Tutti gli indicatori parlano di una crisi che si protrarrà almeno fino al secondo semestre del 2003. Alla RAI – dice ancora l'amministratore delegato uscente della Sipra – nel budget 2003 avevamo preventivato crescita 0%. E sarebbe già un successo. E anche se quella locale va bene, chiaro indice di vitalità delle piccole e medie imprese, la pubblicità sulla stampa nazionale è in calo 15% rispetto al 2001.
"In questo senso, l'11 settembre è uno dei più grandi bluff della storia economica: Alitalia, per dire, ha annunciato lo stato di crisi il 18 settembre. Ora, nell'autunno del 2000 avevo fatto un budget che riportava +6% di pubblicità audio-video. Ma già vedevamo qualcosa di strano: la fine degli investimenti a pioggia della new economy.
"All'inizio pensammo che si trattava di un semplice aggiustamento dei conti dopo le spese folli del primo semestre (pensate che Telecom Italia aveva investito in pubblicità 100 miliardi di lire solo nei primi 6 mesi!). Ma già a gennaio 2001 capimmo che era arrivata la recessione iniziata in America nel 2000. Si annunciava l'annus horribilis di TV e radio, dalla quale siamo usciti a stento nel 2002 con una crescita nulla rispetto all'anno della crisi.
"Dal '95 al 2000, avevamo assistito ad una crescita costante degli investimenti, quasi a 2 cifre ogni anno; sapevamo che prima o poi la crisi sarebbe arrivata. Gli editori si sentirono autorizzati ad alzare i prezzi e quindi il punto di break-even (cioè di pareggio) per ben 8 anni, ma certamente non hanno aumentato gli investimenti. In realtà, tutto oggi è dominato dall'incertezza. Prima, a ottobre eravamo in grado di preventivare introiti e spese fino al mese di giugno. Ora le imprese non sanno cosa succederà il mese prossimo.
"Oggi lavoro per la Maserati che è un'azienda al 100% del Gruppo Ferrari con una storia particolarmente travagliata in cui, oltre a Peugeot, intervenne anche l'imprenditore italo-argentino Alejandro De Tomaso – un outsider, un personaggio straordinario e geniale che alcuni dicono potesse dare fastidio, e che non fu aiutato.
"La settimana scorsa sono stato a Torino e ho parlato a lungo con il nuovo management Fiat. Posso assicurarvi che stanno lavorando duramente, con lena ed aggressività, ai nuovi prodotti e alla soluzione di una crisi di cui nessun italiano può gioire e a cui spero corrispondano soluzioni finanziarie e azionarie all'altezza.
"A un certo punto, De Tomaso chiese aiuto all'avvocato Agnelli che comperò Maserati e, sostanzialmente, la mise in un cassetto. Nel '97, Fiat vendette il 50% di Maserati alla Ferrari e nel '99 il restante 50%. E oggi Ferrari investe pesantemente in Maserati. Siamo produttori di beni di lusso e attualmente non produciamo più di 4mila auto per anno. Ma nel 2006 dovremo venderne 10mila e quindi non possiamo mirare alla stessa esclusività di Ferrari.
"Per dire, la Ferrari 'Enzo', viene prodotta in 299 esemplari/anno per il triennio 2002-2004, e costa 1,260 miliardi di lire. Vi assicuro che è assolutamente inguidabile: è una Formula 1 a 2 posti, praticamente impossibile da guidare per un non pilota. Eppure sono già tutte vendute.
"Ma non dovete pensare che sia stato sempre così: 15 anni fa, i piazzali erano pieni di Ferrari invendute. La Fiat aveva deciso di farne delle Fiat sportive, con i pezzi prodotti a Mirafiori. Da 15 anni, invece, l'unica matita che disegna Ferrari è quella della Pininfarina e negli USA per avere una Ferrari c'è una lista di attesa di 1 anno e mezzo. L'unica cosa che Ferrari fa dal punto di vista del marketing è assegnare le auto. Tutte vendute prima di costruirle.
"Attualmente Maserati produce una '4mila e due' in 2 modelli, coupé e spyder, disegnate da Giugiaro con i fanalini curvi: una soluzione stilistica di cui Cantarella mi tenne a parlare un'intera mattina.
L'auto oggi vende bene, ma ci stiamo giocando il futuro con una nuova auto: una berlina 4 porte che riprende quella presidenziale con la quale il presidente Pertini andò a trovare Enzo Ferrari a Maranello (una Maserati alla Ferrari!). L'auto diventerà quella del presidente della Repubblica e la presenteremo a settembre a Francoforte: costerà intorno ai 100mila euro e competerà sul mercato con l'Audi 8 e la serie 7 della BMW. La settimana prossima, 2 auto partono per il Circolo Polare Artico, per essere testate in condizioni estreme; ed ogni sera il direttore del progetto mi telefona per dirmi a che punto siamo.
"Comperiamo dalla Ferrari motori e carrozzeria che sono di un'affidabilità assoluta. Dal '99, poi, il nostro stabilimento di Modena è stato rivoluzionato. Tutto nuovo. Inclusa una torre di 10 piani dove gestiamo l'impresa: a marzo riceveremo la visita dal presidente Ciampi.
"Siamo in 500, ma abbiamo programma di arrivare a 1000 dipendenti. Le auto vengono costruite in una catena di montaggio in 47 stazioni: su ognuna lavora un blocco di 4-5 operai. Al minuto 26, c'è una sirena e gli operai smettono di lavorarvi; l'auto passa alla stazione di lavoro successiva e dopo la 47esima viene inviata alla finizione: un 'salotto' nel quale vengono eliminati i minimi difetti. Lungo la linea di montaggio, c'è un grande monitor digitale in cui il direttore di produzione può seguire la produzione e inviare messaggi specifici: "troppi errori". Si interviene subito.
"Mi chiede se utilizziamo il lean-thinking come modo di produrre? Le rispondo che le imprese oggi hanno bisogno di laureati in filosofia. A dicembre siamo stati giudicati il miglior posto dove lavorare in Europa, la mensa si chiama ristorante aziendale e ci mangiamo io, gli altri manager e gli operai. Tutti insieme.
"Investiamo in ricerca e sviluppo il 20% del nostro fatturato perché è strategico: alla base di tutto. Siamo un'azienda italiana anche se stiamo provando a trovare un accordo di partnerhsip tecnica e commerciale con i tedeschi di Audi. Abbiamo suddiviso il mercato mondiale in 3 aree: Europa e Usa assorbiranno il 40-45% della produzione; l'Italia solo il 10-15% ma i nostri azionisti, operai e dirigenti sono in Italia e sono italiani i nostri interlocutori principali.
"Che peso ha – ha chiesto allora un corsista – la comunicazione nella vita di un'impresa?
"Strategica e fondamentale, gli ha risposto Perrricone. Comunicazione, naturalmente, è tante cose diverse. E' pubblicità, ma è anche pubbliche relazioni, organizzazione di eventi e sponsorizzazione. Ora Ferrari, non ha bisogno certamente di pubblicità, perché le bastano i Grand Prix. Ma già noi, dobbiamo usare leve di comunicazione classiche come la pubblicità sui giornali: oggi siamo su Panorama, ieri eravamo sulla copertina di Sette.
"Ma stiamo anche organizzando 7-8 gare monomarca per 26 possessori di Maserati: pagando 120mila euro, potranno gareggiare senza dovere fare nulla (pensa a tutto Maserati) prima dei Grand Prix di Formula 1 con esordio a Barcellona il 7-8 aprile prossimi.
"Una campagna pubblicitaria deve vendere il prodotto. Da noi la pubblicità non è sotto la voce comunicazione, ma sotto marketing: deve pensare al prodotto. Io non sono affatto d'accordo con la campagna Benetton: non è né istituzionale né di prodotto. E' la campagna pubblicitaria dell'ottimo fotografo Oliviero Toscani. Si trattava, la ricorderete, di immagini shocchanti che a mio avviso non offrono reali benefici ad un'azienda che fa ottimi prodotti a basso costo e ha una rete commerciale straordinaria.
"La comunicazione è assolutamente strategica. Imperi sono falliti per una cattiva gestione della comunicazione. Oggi, la nostra pagina su Panorama punta ad un target interessato alla cura del proprio tempo libero e riporta l'indirizzo del nostro sito web che abbiamo rinnovato 2 mesi fa.
"La stragrande maggioranza dei prodotti deve fare i conti con la pubblicità. Coca-Cola, per esempio, ha una massa di investimenti enorme: ma l'investimento funziona. Non c'è Olimpiade senza la Coca-Cola come sponsor. La Cinzano e la Martini fanno entrambe un vermouth. Identico. Guai, diceva il vecchio conte Alberto Marone Cinzano, a far conoscere la formula alla concorrenza: e Cinzano in Colombia, tanto per dire, era il distributore di Martini. Eppure, Cinzano ha smesso di comunicare mentre Martini continuava, e oggi il vermouth Martini l'ha superata.
"Prenda Ferrero: un'azienda eccezionale – l'unica vera multinazionale dei prodotti a largo consumo italiana – ha un management estremamente padronale. Michele Ferrero assiste personalmente ai colloqui per l'assunzione dei top manager dietro uno specchio da cui non può essere visto.
"Azienda padronale significa anche, e non ve lo dico come pettegolezzo, che il massimo premio per i propri alti dirigenti è un biglietto premio per Lourdes. Quando mandano il biglietto di auguri aziendali a Natale – e io li ho tutti conservati – c'è sempre il riferimento alla forza lavoro e alle sofferenze vissute. E quando ad Alba c'è stata l'alluvione, erano tutti al lavoro per cacciare via l'acqua: 15 giorni e la produzione è ripartita.
"Fatturano migliaia di miliardi, e non hanno mai tagliato la pubblicità. Chi smette, si condanna al fallimento. Anche se poi, fare pubblicità non significa che funzioni sempre. Acqua Lete, per fare un esempio, è un'acqua minerale campana che andava in TV sulle reti nazionali, ma aveva una distribuzione solo regionale. Era nostro cliente alla RAI ed era sponsor ufficiale della Coppa del mondo di sci. Ma a Milano lei non la trovava!
"Le associazioni fra prodotti e situazioni, inoltre, devono essere positive. L'11 settembre 2001 stavo andando ad un appuntamento con l'amministratore delegato della Ford Italia. Mi chiama la segretaria e mi informa di quanto era successo in America. Poco dopo mi chiama Bruno Vespa che mi spiega che andrà in onda con uno speciale in prima serata chiedendomi di non mandare gli spot. Chiamai tutte le aziende clienti – perché naturalmente sanno esattamente su quali canali, a che ora e in quale trasmissione andranno in onda i loro spot – riferendo la richiesta di Vespa.
"Accettarono tutte, Vespa fece il pieno degli ascolti e per un'altra sera non mandammo spot in onda. Quando la terza sera rimandammo la pubblicità, Ferrero ci chiamò infuriato dicendoci che non voleva che la sua azienda fosse associata a fatti di quella drammaticità. Poi, il 'pazzo scriteriato' che cura il programma Blob ha pensato bene di mandare in onda le immagini in cui alternava la pubblicità del Grana Padano con il coltellino che sfaldava la forma di Grana agli aerei che si andavano a scontrare sui grattacieli di New York.
"Non avete idea di quanti spot del Grana Padano abbiamo dovuto mandare in onda gratuitamente a risarcimento del danno d'immagine subito!
"Abbiamo sentito – gli ha chiesto infine il responsabile del Quality College – dei successi di una grande azienda italiana e che investite il 20% in ricerca e sviluppo. Allora perché ci sono 1400 morti sul lavoro ogni anno mentre le nostre imprese hanno una media di soli 4 dipendenti, investono in ricerca la quota più bassa di tutti i Paesi industrializzati e sono oggetto dello shopping dei fondi di private-equity americani e internazionali?
"Ieri sera – gli ha risposto Perricone concludendo il suo intervento – guardavo Amadeus sul primo canale. Chiedeva a un concorrente quale fosse la caratteristica più conosciuta degli italiani nel mondo emersa in un sondaggio internazionale. Ebbene, la risposta è stata: l'arte di arrangiarsi!
"Abbiamo fatto di necessità virtù: ci siamo rimboccati le maniche e siamo andati avanti. Oggi però paghiamo l'assenza di valide politiche industriali e soprattutto la mancanza di continuità dell'azione politica. Forse i nostri vertici politici dovrebbero fare di più per promuovere il nostro sistema produttivo mentre il Ministero degli Esteri potrebbe fare di più per le nostre imprese, come già fanno quelli di tutte le grandi potenze industriali.
Quindi, il manager palermitano ha salutato personalmente ognuno dei corsisti: "non avevo idea – dirà congedandosi al responsabile del Quality College – che a Palermo ci fosse una realtà come questa del CNR".
Il 28 gennaio è intervenuto al corso l'ingegenere Antonio Ferraro, responsabile siciliano del Registro italiano navale, divisione certificazione d'impresa. E ha tenuto un intervento di grande trasparenza e credibilità che raramente è possibile ascoltare da società di certificazione, siano esse di bilancio o di sistemi di gestione.
"Da noi – ha esordito Ferraro rispondendo alla domanda del Dr. Pagliaro sulla clamorosa certificazione ISO 14001 dello stabilimento Enichem di Priolo – le leggi non le rispetta nessuno. Vi faccio un esempio: c'è una legge sulle emissioni in aria, la 283/88, che dice che le autorizzazioni devono essere rilasciate dal Comune responsabile entro 90 giorni. A Catania, per averla, ci vogliono 3 anni, e se l'impresa insiste per averla, gli dicono candidamente: "vi chiudiamo".
"Eppure, per noi del Rina, per essere certificata ISO 14001, un'impresa deve mostrare evidenza di possedere tutte le autorizzazioni legali applicabili. Inclusa quella del Comune di Catania.
"Non vi sembri assurdo, ma posso anche dirvi che la certificazione dello stabilimento di Priolo sarebbe potuta capitare anche a noi. Gli anglosassoni hanno la mentalità del prestigio e una cultura della qualità che noi ci sogniamo. E sono loro che hanno creato le norme volontarie, come le ISO 14000 o le ISO 9000. Da noi, invece, le autorizzazioni vengono usate esclusivamente 'per lavorare'.
"Lo stabilimento petrolchimico di Gela era certificato ISO 14001 dal DNV: quando la magistratura lo ha chiuso per violazione delle leggi ambientali, il Governo lo ha fatto riaprire per motivi sociali emanando un decreto che cambiava la legge ambientale. Lì, sulla spiaggia, c'erano montagne di gesso radioattivo, materiale di risulta dell'abbattimento degli ossidi di zolfo. Stavano lì, libere di volarsene via. Tutti lo sapevano e nessuno è mai intervenuto.
Certificato Azienda Norma |
Rilascio
- Scadenza Unità - Indirizzo Scopo |
Organismo | Sett |
CERT-113-2000-AE-CIA-SINCERT | 30/10/2000 - 06/10/2003 | DNV Italia S.r.l. | 10 |
AGIP PETROLI S.p.A. - Raffineria di Gela | Sede - Località Piana del Signore 93012 Gela (CL) - Sicilia | ||
ISO 14001 | Scopo: Raffinazione di greggi e semilavorati, stoccaggio e movimentazione dei prodotti con caricamento navi e autobotti, produzione di coke di petrolio, produzione di energia elettrica e vapore mediante caldaie policombustibili (coke, olio combustibile, gas di raffineria) con impianto di desolforazione, denitrificazione e depolverizzazione dei fumi di combustione, impianti di servizi (dissalazione, trattamento effluenti urbani e industriali) ad esclusione dell'impianto di smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi mediante discariche controllate di categorie 2a, 2b, 2c |
"Si tratta di uno sforzo culturale. Credetemi, le norme volontarie di gestione funzionano. Rappresentano il futuro. Ma noi non abbiamo né le stesse imprese né le stesse amministrazioni pubbliche che hanno la Germania o la Svezia. Avevamo 20mila imprese iscritte all'Albo nazionale costruttori: gli imprenditori avevano libero accesso alla modifica dei dati che li riguardavano. Ora il sistema è cambiato: le imprese devono essere certificate dalle società di attestazione (le SOA). Noi ne abbiano una: ma quando gli imprenditori vengono da noi e gli chiediamo i documenti ci rispondono: 'sta scherzando?'.
"Ora – ha proseguito Ferraro – vorrei spiegarvi lo schema della certificazione delle competenze per chi vuole diventare auditor d'impresa. In Italia, ci sono 3 organismi di certificazione del personale: KHC, Cepas e Aicq-Sicev. Innanzitutto, è necessario frequentare e passare gli esami del corso delle cosiddette '40 ore'.
"Il corso naturalmente deve essere accreditato da uno di queste società di certificazione del personale. Prima però di passare l'esame finale e divenire auditor certificati occorre avere condotto un certo numero di audit d'impresa come osservatore. Per i registri internazionali come l'IRCA o lo IEMA si tratta di qualcosa come 50 e 60 audit, rispettivamente. Per quelli nazionali, di meno.
"Il punto chiave che vorrei enfatizzare, comunque, è quello delle competenze settoriali. Non è possibile divenire revisori della gestione di un'impresa se non si possiede e si dimostra una competenza qualificata nel settore produttivo dell'impresa sottoposta a revisione. Io, per esempio, quando vado a condurre gli audit di imprese del settore sanitario, mi limito a coordinare la conduzione dell'audit che viene materialmente condotta da un medico o da personale analogamente qualificato con esperienza del settore sanitario.
"Lavoro in Sicilia da alcuni anni – ha concluso Ferraro, prima di rispondere a numerosissime domande – ho formato praticamente tutti quelli che ora lavorano in Sicilia occidentale come consulenti di direzione sui sistemi di gestione. E recentemente ho assunto 2 giovani per rinforzare la sede del Rina che, solo in Sicilia, certifica 900 imprese e vorrei poter continuare a dare un contributo alla crescita di una migliore cultura della qualità per cui insegno a contratto anche all'Università di Palermo".
Nel pomeriggio del 30 gennaio è intervenuto al corso il fisico del CNR Antonio Pagliaro, autore di un notevole intervento sull'efficacia nella comunicazione nel quale ha fatto uso di vignette tratte da Peanuts, esempi, storie e dati che hanno lasciato sconcertati i corsisti, nessuno dei quali aveva mai ricevuto formazione sul tema.
"L'obiettivo della comunicazione, ha esordito Pagliaro, non è informare, ma raggiungere un obiettivo. Fare prendere coscienza di qualcosa a qualcuno. Oppure indurlo a fare qualcosa. In questo senso, il successo della comunicazione, e quindi la sua efficacia, è misurato dal suo ritorno: se gli altri non ci comprendono, è colpa nostra.
"Migliorare la nostra capacità di comunicare, significa apprendere tecniche avanzate di osservazione e di internazione che ci permettano di capire le strategie dei nostri interlocutori e utilizzare strategie di comunicazione congruenti al loro modo di comunicare. Prima, è necessario conoscere i propri schemi per diminuire la propria vulnerabilità.
"Ogni individuo possiede una mappa soggettiva del mondo: un “suo” modo di vedere le cose e di reagire agli eventi costruito soprattutto in base all’esperienza. L'errore principale è quello di interpretare la reazione del proprio interlocutore in base alla propria mappa.Pagliaro ha quindi descritto e commentato i risultati di numerosi esperimenti di psicologia come quello di Ellen Langer ('ci fermiamo alla sola domanda del perché, senza curarci dei risultati', 1989), e ha descritto le tattiche per stabilire rapidamente un rapporto efficace con un interlocutore. Poi, entusiasmando i corsisti, ha spiegato le tattiche efficaci della persuasione, mostrandogli come siano largamente utilizzate dalle imprese, mentre quasi mai noi se ne sia consapevoli o capaci di replicarle a nostro vantaggio.
"La PNL è una tecnica per sviluppare le potenzialità umane nata come strumento per organizzare il nostro pensiero, e scoprire ed ottimizzare le strategie che utilizziamo. L’obiettivo è diventare consapevoli dei modelli mentali e saperli gestire, e io vorrei mostrarvi come farlo almeno in alcuni casi".Il dottor Pagliaro si è congedato dai corsisti suggerendo la lettura di numerosi testi e distribuendo ai corsisti il proprio intervento in formato digitale. Le iscrizioni al prossimo corso di formazione manageriale del Quality College del CNR in programma a giugno sono già aperte, e sono limitate ai primi 13 corsisti iscritti in ordine cronologico.